A Cosenza dodicenni “schiavi” delle anfetamine. L’allarme lanciato dal centro di ascolto della comunità Exodus
Arcangelo Badolati Il flagello. Una bimba di 20 mesi è stata ricoverata ieri all’Annunziata in prognosi riservata per aver ingerito della marijuana. «Mi colpisce la soglia di età che si è molto abbassata» dice Debora Granata, responsabile del centro di ascolto della comunità “Exodus”. Che aggiunge: «Prima dell’emergenza Covi si trattava di ragazzi e ragazze dai 16 anni in sù, adesso facciamo i conti con ragazzini in età pre-adolescenziale, intendo dodicenni, che fanno uso di sostanze: dall’erba alle anfetamine e che conoscono già pure l’eroina. Nei quartieri più disagiati il passaggio all’eroina dei giovani consumatori è diventato quasi normale». Il quadro è allarmante e la coordinatrice di “Exodus” non usa mezzi termini nell’illustrare possibili strategie d’intervento. «I giovani hanno bisogno di avere paura» afferma «devono capire a cosa vanno incontro. Bisogna fare rumore. I genitori, a loro volta, hanno necessità di comprendere che i loro figli rischiano di morire e che non sono “mostri” ingestibili. I veri “mostri” sono le sostanze che s’impossessano dei loro ragazzi». Il problema delle dipendenze riguarda centinaia di ragazzi. E pure migliaia di adulti. «L'abuso di sostanze tra gli adolescenti e i giovani adulti» afferma Granata «continua a rappresentare una piaga sociale di enorme portata. Le droghe e l'alcol, spesso usati come via di fuga da situazioni di disagio emotivo o di esclusione sociale, causano conseguenze gravissime, sia nel breve che nel lungo termine. L’esperienza diretta con questi giovani mi ha permesso di vedere come, in molti casi, l'uso continuato di sostanze porti a patologie permanenti. Disturbi psichiatrici come depressione, ansia e psicosi, danni neurologici e cognitivi, fino a malattie cardiovascolari e epatiche, sono solo alcune delle tragiche conseguenze legate al consumo di droghe e alcol. I ragazzi, spesso inconsapevoli dei rischi reali, entrano in una spirale di dipendenza che compromette non solo la loro salute, ma anche le loro relazioni sociali, familiari e scolastiche. Nei miei vent'anni di esperienza, ho assistito a come il disagio si radichi profondamente nel vissuto dei ragazzi, e come l’abuso di sostanze spesso faccia da catalizzatore per altre forme di disagio, come l’isolamento sociale, la perdita di autostima e la mancanza di prospettive per il futuro».