Il Cosentino fatica a sostenersi su una zolla incrinata. Quella crepa sociale che l’attraversa per tutta la sua grandezza è sempre più ampia. Franano gli argini della qualità della vita con indici che allontanano questa terra dalla mappa del benessere che continua a riverberare esclusivamente a Nord di Eboli. Le statistiche più recenti definiscono confini più ampi per una spirale negativa che sta risucchiando le ultime speranze di ripresa in questo Sud del Sud dell’Italia, sempre più povero e disperato. Famiglie in difficoltà che aumentano e risorse che mancano secondo una tendenza inarrestabile che è diventata un sigillo d’identità per intere fasce sociali. Gli effetti della pandemia combinati con quelli ispirati dalle guerre hanno dilatato smagliature profonde in settori strategici come sanità, lavoro e scuola in mezzo a un contesto caratterizzato da grande incertezza. Lo rivela l’indagine di Italia Oggi, La Sapienza e Cattolica Assicurazioni, giunta alla ventiseiesima edizione. Uno studio che definisce un paese a due velocità. Il Settentrione (e parte del Centro) che mostra segnali di capacità di ripresa importanti e il Sud che soffre.
Un rapporto zeppo di appunti per il Parlamento ora che dovrà rimettere mano alla legge sull’Autonomia differenziata. Non si può abbandonare il Mezzogiorno al suo destino, perché qui la vita è sempre stata più difficile che altrove. Col passare del tempo, però, quello squarcio tra le due Italie continua a dilatarsi e il Sud scivola rapidamente precipitando verso il baratro. La questione meridionale gioca con la speranza di chi la vorrebbe derubricare a un capitolo di storia. E, invece, continua ad essere argomento d’attualità all’interno di un’Italia delle disparità e delle disuguaglianze. Differenze col resto del paese che hanno avuto come risultato la solitudine che spinge i più giovani a scappare lontano. La fuga dei ragazzi e la denatalità continuano a svuotare il Cosentino. Una crisi demografica ricorrente che si ritrova nel report di Italia Oggi, La Sapienza e Cattolica Assicurazioni che s’affida agli algoritmi per definire le misure dei nove indicatori principali che oltre alla popolazione valutano: affari e lavoro; ambiente; istruzione; reati e sicurezza; reddito e ricchezza; sicurezza sociale; salute; turismo e cultura. Nove dimensioni d’analisi utilizzate per fotografare la nazione.
La migliore performance è della provincia di Milano che fa registrare numeri e piazzamenti all’interno delle graduatorie che definiscono quasi tutti gli ambiti. Padova e Monza completano un podio tutto padano. In Calabria, l’unico trend positivo è quello di Crotone: in dodici mesi risale due posizioni passando dal 107mo al 105mo posto. Le altre perdono tutte. Reggio precipita sul penultimo gradino e Cosenza scivola al 104.mo posto dopo ben sette passi indietro rispetto al 2023. Una provincia in sofferenza nell’occupazione e nei redditi (voci, del resto, strettamente collegate) che la tengono zavorrata nelle retrovie. Un trend che era già emerso dal Rendiconto sociale dell’Inps e da un’inchiesta della Cgia di Mestre. Perturbazioni che dilatano la piattaforma delle emergenze da cui affiorano significative aree di disagio sociale e personale. La vulnerabilità affiora (ma solo in parte) anche da un sistema salute al collasso dopo un lungo commissariamento che ha avuto effetti ancor più devastanti. Qui non ci si può ammalare perché nei nostri ospedali, ormai, non ci sono più posti letto per i ricoveri e ci sono sempre meno medici e infermieri in servizio. Quei pochi presidi sopravvissuti alla follia delle sforbiciate del piano di rientro (progettato nel 2009 dall’allora governatore Agazio Loiero per provare a salvare la sanità calabrese dal crac finanziario) sono diventati una bolgia senza senso. E Cosenza resta inchiodata tra quelle che stanno peggio nella qualità delle cure e nell’acceso tempestivo ai servizi medici (83.ma e perde altre due posizioni rispetto al 2023).
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