Il maxiprocesso “Reset” volge alla conclusione e il 19 il gup distrettuale di Catanzaro, Fabiana Giacchetti emetterà la sentenza nei confronti dei 120 imputati che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato. Tutte le parti hanno concluso i loro interventi e il dispositivo verrà letto nell’aula bunker di Castrovillari.
Sarà una sentenza storica perché servirà - se l’impostazione accusatoria troverà conferma - ad acclarare l’esistenza di un quadro criminale aggiornato sull’area urbana, In questi mesi accusa e difesa si sono confrontate in un dibattito processuale cominciato con l’articolata requisitoria dei pubblici ministeri antimafia e con le accese arringhe dei componenti del collegio difensivo. Il confronto tra le parti ha offerto una visione diversa di episodi e circostanze.
I pm antimafia Vito Valerio e Corrado Cubellotti e il procuratore vicario di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, hanno ricostruito le mosse e i ruoli degli imputati illustrando, nel contempo, la complessa natura di una “confederazione” ‘ndranghetistica comprendente pure l’articolazione più importante della criminalità nomade operante nel capoluogo bruzio. Una “confederazione” di cui, al contrario, i difensori delle persone finite a giudizio hanno contestato l’esistenza.
Qual è la tesi della procura distrettuale? Sei cosche “alleate” con “cassa” e gruppi di fuoco comuni, avrebbero a lungo agito nell’area urbana del capoluogo muovendosi seguendo i dettami di una “direzione strategica” composta dai maggiorenti di ciascun gruppo. “Primus inter pares” sarebbe stato, in questo contesto, Francesco Patitucci, già condannato per fatti di mafia, più volte al centro di indagini su estorsioni e attualmente in prigione per effetto di una condanna all’ergastolo inflittagli dalla Corte di assise di Cosenza per l’uccisione di due giovani “azionisti” avvenuta nel lontano febbraio del 1985 in un casolare delle campagne rendesi. Accanto al capobastone avrebbe sempre agito Roberto Porcaro, che due anni fa stupì investigatori e “compari” cominciando una collaborazione con la giustizia che si sarebbe però rivelata fittizia.
Le sei cosche “confederate”, suddivise per aree e settori d’influenza, avrebbero messo le mani nel traffico di droga, nell’usura, nella politica, nel gioco d’azzardo e nelle estorsioni. La loro sfera operativa si sarebbe estrinsecata principalmente nella cintura urbana di Cosenza, Rende e Castrolibero allargandosi successivamente mediante propaggini operanti anche a Roggiano Gravina, nel Cetrarese e nella Sibaritide. Alla loro capacità di condizionamento è legato lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Rende: un fatto senza precedenti. Uno scioglimento determinato da una relazione molto complessa, depositata dalla Commissione di accesso antimafia nominata dal Prefetto, dopo mesi di esami di atti e delibere e l’audizione di imprenditori e ex amministratori. Le presunte criticità e anomalie rilevate pure dalla Dda di Catanzaro hanno portato alla incriminazione dell’ex sindaco Marcello Manna e dell’ex assessore ai lavori pubblici Pino Munno.
Le cosche “confederate” sarebbero strutture criminali eredi di vecchie “signorie” mafiose devastate, tra la fine degli anni 90 e il primo decennio del nuovo secolo, da pentimenti, arresti e condanne. Furono le operazioni “Garden”, “Garden bis”, “Ciak”, “Luce” , “Missing” e “Terminator” a determinare l’inflizione di pesanti pene a boss e picciotti.
Nel maxiprocesso “Reset” che sta per finire, le condanne più elevate sono state invocate per i personaggi maggiormente operativi e in vista di ognuna delle sei ‘ndrine. Eccoli: Francesco Patitucci, Mario Renato Piromallo, Adolfo D’Ambrosio, Gennaro Presta, Michele e Umberto Di Puppo, Carlo Drago, Antonio Illuminato, Ettore Sottile, Alberto Superbo, Salvatore Ariello, Antonio Marotta, Marco, Nicola e Luigi Abbruzzese Erminio Pezzi. A loro si aggiungono imputati detenuti da tempo e con condanne definitive anche al carcere a vita come Gianfranco Ruà, Gianfranco Bruni, Franco Presta, Maurizio Rango, Ettore Lanzino.
I magistrati inquirenti hanno invocato la condanna, tra gli altri, pure dell’assessore comunale di Cosenza, Francesco De Cicco a 4 anni e 10 mesi e del sindacalista Gianluca Campolongo a 7 anni. Per Silvia Guido, ex moglie di Roberto Porcaro, sono stati invece chiesti 16 anni. Pene meno pesanti richieste per i pentiti Celestino Abbruzzese (6 anni) e la moglie, Anna Palmieri (5 anni e 4 mesi); Roberto Presta (5 anni e 4 mesi); Francesco Greco (8 anni) Luciano Impieri (6 anni); Adolfo Foggetti (3 anni e 6 mesi); Daniele Lamanna (3 anni e 4 mesi)); Giuseppe Zaffonte (5 anni e 7 mesi). L’altra parte del processo, celebrata con rito ordinario è invece in corso nell’aula bunker di Castrovillari per via dell’inagibilità della struttura distrettuale di Lamezia Terme. Pure lì sono a giudizio 120 persone.
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