Cosenza

Venerdì 31 Gennaio 2025

La Memoria di Ruth, sulle tracce di Ferramonti: “C’era la malaria e ci curavano col chinino, non si poteva bere dalla fontana centrale”

 
 
 
 
 
 

“Non so come faccio a ricordarmi tutto così bene. Frequentavo la prima classe nel campo, ho anche la foto. Giocavo con altri bambini e mio zio, uno dei rabbini, nel tempo libero aveva messo su il banchetto del the. Ci si organizzava come si poteva”. Nell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo nazista di Auschwitz-Birkenau, Ruth Hauber Foa ritorna nel campo di Ferramonti dove visse da internata con i suoi familiari. “Non è la prima volta, ma tornare è sempre un’emozione diversa. La cosa strana è il ricordo che ho della vita nel campo e la ricerca degli angoli conosciuti. Ne ho il ricordo come di una vacanza perché mio padre non lavorava e mia mamma coccolava e si prendeva cura di mia sorella di neanche 2 anni”. Ruth aveva compiuto sei anni quando nel maggio del ’40 venne strappata dalla sua quotidianità per iniziare un viaggio avventuroso del quale rimangono vaghi ricordi “Mio padre nel ’39 venne fermato a Milano e poiché era senza documenti fu portato a San Vittore. In seguito si seppe che sarebbe partito per un campo del sud d’Italia che nessuno conosceva. Mamma preparò delle foto da lasciargli. Così mio padre portò con sé la sua piccola famiglia! Dopo un po’ di tempo - racconta Ruth - venne a sapere che davano l’opportunità di riunire la famiglia e mia mamma che non parlava bene l’italiano e aveva due bambine piccole intraprese un viaggio da Milano verso sud. Non so come fece, ma ricordo che si fece una sosta a Napoli dove c’era un bombardamento”. La vita a Ferramonti per quanto priva di libertà e dietro il filo spinato, alla piccola Ruth non apparve così impossibile. “Avevamo uno spazio piccolo nella baracca, diviso da tende, dove vi erano un letto e un tavolino, ma stavamo insieme. C’era la malaria e ci curavano col chinino, non si poteva bere l’acqua della fontana centrale della piazza se prima non si bolliva. Il direttore del campo ci vedeva giocare e a volte si fermava a prenderci sulla camionetta per un giro a raccogliere frutta e verdura. Al mattino col pentolino si andava alla distribuzione del latte e poi degli altri pasti. Io andavo a scuola. Il libro non so se l’avevo, ma foglio e lapis per fare i compiti certamente sì. Siamo stati qui senza paura”, ripete Ruth facendo spazio ai suoi ricordi di bimba. Ma tutto cambiò successivamente perché nel giugno del ’41 furono inviati in un paesino dell’Abruzzo dove si salvarono grazie ad una famiglia del posto. Di allora non ricorda la fame, le ristrettezze ma il timore, la paura della divisa che ancora oggi l’accompagna. Ruth ritiene che il domani non è così sicuro e continua a trasmettere il suo messaggio di speranza alle giovani generazioni “Ho raccontato la mia storia alle mie figlie, alle mie nipoti e a tutti perché la memoria è importante e nessuno deve dimenticare”. E’ un racconto continuo che non si ferma. Una storia ricca di memorie e documenti custoditi nelle teche delle baracche del Museo Internazionale della Memoria Ferramonti di Tarsia. Il più grande campo di concentramento per ebrei e stranieri nemici dell’Italia fascista fu attivo dal giugno del 1940 al settembre del 1943, ma continuò a funzionare fino al 1945 come Campo di raccolta per gli “sfollati” (Camp Displaced Persons). La storia del campo tra documenti e testimonianze si divide in un primo periodo quando fu campo di internamento gestito da un direttore e da forze militari italiane e in un secondo periodo, dopo la Liberazione quando, col controllo militare alleato, venne convertito in Campo di raccolta di sfollati, dispersi e profughi per assisterli al rimpatrio o ad altra destinazione. Mentre per il primo periodo tante sono le fonti storiche e gli studi realizzati, rimane in ombra ancora l’ultimo periodo di vita del campo. Adesso lo studio si arricchisce e si concentra sulla ricostruzione della storia e delle memorie del campo profughi per Displaced Persons (DPs). Un interessante contributo a questa ricerca, a cura di Teresina Ciliberti, studiosa e direttrice del Museo di Ferramonti, è stato presentato a ridosso del Giorno della Memoria, accompagnato dal saluto del Sindaco di Tarsia Roberto Ameruso e alla presenza di numerose personalità e testimoni. Studi recenti, ancora in corso, fanno nuova luce sui fatti di quel momento storico quali la presenza di diversi movimenti sionisti, attivissimi a Ferramonti nel periodo post fascista. Dai documenti ritrovati si ricompone il quadro degli accadimenti. Nel campo si è accertata la presenza di istruttori mandati dalla Palestina che affiancavano gli Alleati col compito di reclutare e preparare giovani ebrei nelle “hachsharot”, per poi mandarli in Palestina (Aliyat). “Hachsharah", in ebraico, significa addestramento o "preparazione". A Ferramonti molti genitori volevano mandare i figli giovanissimi nelle “hachsharot” gestite dall’Ufficio Palestinese; risulta, infatti, reclutato un gruppo di 30 ragazzi e ragazze, ma gli Alleati diedero il visto di partenza solo a otto di essi.

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