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A Cosenza i registri di genere e la battaglia del Pd

Il capogruppo Francesco Alimena spiega le ragioni dell’iniziativa assunta in consiglio comunale dai democrats. La polemica con Fratelli d’Italia e l’approvazione del documento istitutivo voluta in aula dalla maggioranza di centrosinistra. «Un atto di civilta: chiunque può essere quello che è»

La scelta contestata. Il consiglio comunale ha approvato nei giorni scorsi un documento che impegna il sindaco e la giunta a istituire due registri di genere: uno per i servizi e uno per l’impiego. Ciò consentirà ai lavoratori transgender e non binari di sostituire il proprio nome e genere anagrafico con quelli elettivi nei documenti interni dell’amministrazione comunale. Badge, tesserini e altri atti relativi al rapporto di lavoro con il Comune potranno riportare il nome scelto dal lavoratore, sulla base di un’autocertificazione. È una chiara apertura, rispetto al passato. Un’apertura avversata da Fratelli d’Italia che ha votato contro e presentato una mozione, a firma di Giuseppe D’Ippolito, che è stata respinta.
Per capire il senso della scelta fatta dall’assemblea municipale abbiamo posto alcune domande al capogruppo del Pd, Francesco Alimena, sostenitore dell’iniziativa.
Alimena perché avete scelto di far istituire i registri?
«Io credo che quello che abbiamo dimostrato come maggioranza dí centrosinistra in consiglio comunale votando questo dispositivo è che, in definitiva, a Cosenza chiunque può essere non solo quello che vuole, ma quello che è , fedele a se stesso, e che c’è una comunità a fare squadra insieme a te».
Non siete i soli ad averlo fatto nel nostro Paese: qual è stato il vostro percorso?
«In questo momento, tanti comuni del centrosinistra, in tutta Italia, da Milano a Bologna - ed è notizia la settimana scorsa Taormina in Sicilia - stanno approvando disposizioni per l’identità e la carriera alias, noi siamo stati tra i primi grazie ad un lavoro iniziato oltre un anno fa, cioè la possibilità di consentire alle persone trans e transgender che stanno attraversando il percorso di transizione che, in Italia, per come è fatta la legge, è difficile, è lungo e costringe tali persone - che sono studenti e studentesse, che sono i nostri amici e amiche, i nostri fratelli e sorelle, i nostri figli e figlie, i nostri parenti e le persone delle comunità attorno a noi - ad affrontare ogni giorno momenti in cui per salire sull'autobus, accedere a una mensa, andare a lezione all'università, al liceo o a scuola, entrare in piscina o palestra, significa trovarsi davanti qualcuno che vedendo il loro aspetto ma riscontrando sui documenti un aspetto diverso, non utilizza per loro le giuste desinenze, i giusti pronomi, dando vita quindi ad una situazione di grande imbarazzo. È questo quello che si chiama “test di vita reale”, il periodo, cioè, in cui chi sta affrontando la transizione ma ancora non è giunto alla fine del percorso, è cioè ad una sentenza del giudice che assegna il sesso di elezione, vede il mondo intorno ad esso, seppure dentro di se sa bene chi è , maschio, femmina o se altro, che non lo riconosce perché il suo aspetto dice una cosa e i suoi documenti dicono altro».

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