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Lettera-denuncia della sorella di Serafino Congi: «A San Giovanni in Fiore non ci si può ammalare»

La sofferenza di Jennifer Congi è racchiusa in sua lettera, che a 41 giorni dal decesso di suo fratello Serafino, “racconta” in modo straziante «...se n’è andato mentre attendeva invano di essere trasportato a Cosenza». Un fatto drammatico, la cui eco – com’è noto – è rimbalzata ovunque (nel Nord Italia, in diversi Paesi europei, e finanche nelle Americhe). E ovunque sono stati esposti lenzuola bianche con la scritta: “Siamo tutti Serafino”.
Certo, scrive, Jennifer: «Quel maledetto giorno non ha funzionato nulla: non si è riusciti a garantire un trasporto né in ambulanza né in elicottero... Mio fratello è stato la vittima sacrificale di un sistema sanitario che non funziona da tempo e ha avuto la sfortuna di avere un malore in un giorno festivo e a San Giovanni: posto in cui non ci si può ammalare, perché si finisce per morire. Le condizioni – continua la sorella di Congi nel suo straziante scritto – in cui versava e versa il nostro Pronto soccorso sono note a tutti, amministrazione comunale compresa, ma, ahinoi, a tutt’oggi non c’è stata una sola parola di scuse da parte di quest’ultima e di chi la rappresenta: compresi i sanitari di turno durante la tragedia (...). Sarebbe bastata un po’ di umiltà, e si sarebbero evitati aggiuntive afflizioni. Quello che importuna e addolora noi familiari è come sia stata possibile una tale mancanza di rispetto. È tragico e inammissibile che da quel terribile sabato 4 gennaio non sia stata data a Serafino l’importanza che avrebbe meritato. Nessun lutto cittadino, né partecipazione di cariche pubbliche e delle rappresentanze istituzionali al funerale, mentre in quei giorni di afflizione – conclude Jennifer Congi – le luminarie natalizie continuavano a scintillare negli angoli del paese, rimarcando mancanza di rispetto e prevalenza della fiera dell’effimero».
Ieri, in ogni angolo della città silana si parlava ancora di Serafino, perché ad ogni sangiovannese che ha assistito all’ultima serata di Sanremo (quella di sabato: ndc) non è sfuggita la testimonianza dell’ospite della kermesse della canzone italiana di Edoardo Bove, il calciatore della Fiorentina che, colto da malore cardiaco nel corso del match contro l’Inter (poi sospeso), «in 13 minuti sono stato trasportato al “Careggi”... ed ora son qui». Il giovane calciatore ha pure ammesso che «senza calcio... mi sento vuoto». Ma questa è già un’altra cosa, su cui sta ricevendo sostegno e aiuti nella speranza che ritorni a calcare i campi di calcio. Un parallelo con Serafino, dunque, che ha rinnovato l’immane dolore e la rassegnazione di una Italia a due velocità, anche quando di mezzo c’è il diritto alle cure e all’assistenza sanitaria. Perché rimane e rimarrà per sempre l’interrogativo che chi abita qui continua a porsi: «Chissà se Serafino si sarebbe potuto salvare con un intervento più tempestivo?...».

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