Cosenza, nel 2024 recuperati 179 reperti archeologici e 124 beni antiquariali dal valore di 5 milioni di euro
I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale (TPC) di Cosenza in un anno di indagini, appostamenti, verifiche su piattaforme online e controlli serrati in tutta la Calabria e nel resto del Paese ha permesso di smascherare traffici illeciti, sequestrare opere contraffatte e restituire alla collettività tesori perduti da decenni. In prima linea, il recupero di un’anfora attica a figure nere, datata alla fine del VI secolo a.C. e trafugata nel 1991 da una collezione privata calabrese: il manufatto, di straordinaria rilevanza archeologica, era riemerso nel circuito legale ed era stato posto in vendita presso una rinomata casa d’aste. Ma l’anfora è solo la punta dell’iceberg. L’attività investigativa del Nucleo TPC ha portato alla luce 179 reperti archeologici e 124 beni antiquariali, mentre sono state sequestrate 133 opere pittoriche false e due pezzi d’antiquariato contraffatti. Il valore complessivo stimato supera i 5 milioni di euro. A rendere possibile questo risultato è stata una combinazione di prevenzione, repressione e un utilizzo mirato delle norme. In particolare, ha avuto un ruolo determinante la Legge 22/2022, che ha rafforzato l’apparato sanzionatorio attraverso l’introduzione di 17 nuovi articoli nel Codice Penale, contribuendo a rafforzare le difese giuridiche contro i crimini contro il patrimonio culturale. «Il patrimonio culturale non è solo memoria del passato, ma fondamento del nostro presente e futuro», hanno dichiarato fonti investigative. Nel 2024 sono stati effettuati controlli su 126 aree archeologiche per contrastare gli scavi clandestini, 137 aree paesaggistiche per prevenire abusi edilizi, e 47 fiere, mercatini e attività antiquariali per contrastare i reati di ricettazione e riciclaggio. Inoltre, 452 beni sono stati sottoposti ad accertamenti fotografici, spesso primo passo per identificare la provenienza sospetta di opere d’arte. Le indagini hanno portato al deferimento all’Autorità Giudiziaria di 105 persone: tra queste, 59 per reati paesaggistici, 9 per scavi clandestini, 18 per ricettazione e 5 per contraffazione. Un risultato che dimostra la capillarità del lavoro svolto e l’efficacia di un approccio integrato, che unisce il monitoraggio del territorio a quello delle transazioni online. Una parte significativa del lavoro ha riguardato infatti proprio la rete: aste digitali, vendite private su e-commerce e social network. Qui, tra link ingannevoli e foto patinate, si celano spesso oggetti frutto di scavi illegali o falsi d’autore, venduti a ignari collezionisti o a mercanti compiacenti. Grazie alla collaborazione con il Ministero della Cultura, molti dei beni recuperati sono tornati al patrimonio indisponibile dello Stato: 385 reperti – tra cui oggetti archeologici, fossili e persino un cannone navale – sono stati consegnati alle strutture periferiche del dicastero, sigillando un percorso di restituzione che ha il sapore della giustizia storica.