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Maxiprocesso “Reset”, il ruolo sempre più influente delle donne nelle cosche di ’ndrangheta del Cosentino

L’altra faccia delle ‘ndrine. Il volto gentile delle donne irrompe pure sulla scena criminale della Calabria settentrionale per effetto delle condanne inflitte nei due tronconi del maxiprocesso “Reset”. Così venne chiamata nel settembre di tre anni fa l’operazione che scombussolò, con l’esecuzione di 202 misure cautelari, gerarchie, affari, connivenze e infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Cosentino.
In primo grado - tra rito abbreviato e ordinario - sono stati condannati tutti i presunti “capi”, “reggenti” e personaggi di spicco delle sette cosche “confederate. Sette clan vincolati da un accordo sancito per evitare guerre e razionalizzare i guadagni. I profitti tratti dalle attività illecite finivano infatti in una “bacinella” comune per essere in parte divisi e, in parte, reinvestiti.
Il dato che tuttavia emerge prepotentemente riguarda le pene inflitte ad alcune compagne o mogli di “uomini di rispetto” (o presunti tali). Mai prima d’ora - fatta eccezione per la condanna all’ergastolo comminata negli anni scorsi a Nella Serpa, detta “la bionda”, reggente dell’omonima consorteria mafiosa di Paola - i giudici avevano così tanto calcato la mano sulle donne.
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