
Bisognerebbe chiamarla sanità a rate quella che non di rado va in scena nei pronto soccorso degli ospedali cosentini. Bisognerebbe chiamarla sanità a rate ma il “conto” – che a volte non è solo economico ... – lo si paga, poi, tutto d’un botto. È successo così a una famiglia cosentina in villeggiatura sulla costa tirrenica. Nei giorni scorsi, padre e figlia sono giunti nel pronto soccorso del “San Francesco di Paola”.
La ragazza accusava il sanguinamento di un orecchio e la circostanza oltre che strana appariva anche un tantino preoccupante.
Al triage dell’ospedale tirrenico, però, anziché un codice d’urgenza hanno “consegnato” a genitore e figlia il prezioso consiglio di rivolgersi al pronto soccorso dell’Annunziata, a circa trenta chilometri di distanza, mica dietro l’angolo. Perché lì, nella struttura tirrenica, avrebbero potuto far poco e niente, dal momento che, visto l’orario – erano circa le 21 – non vi era in servizio nessun otorinolaringoiatra.
E presumibilmente non doveva neanche essere reperibile, altrimenti...
Così, senza una diagnosi e col cuore in gola, padre figlia, son partiti alla volta di Cosenza.
In trenta chilometri o poco più è cresciuta la speranza che quella perdita ematica non fosse il sintomo d’una patologia grave e che – nell’esercito dei medici cubani assoldati nel Dea dell’Annunziata – ve ne fosse uno che avesse non proprio studiato da otorinolarigoiatra ma che quantomeno avesse dimestichezza (dicasi pure competenze) per le patologie dell’orecchio.
Una speranza quest’ultima durata giusto trenta chilometri o poco più.
Perché arrivati all’Annunziata, ricevuto il codice azzurro e atteso un tempo che in certe occasioni sembra dilatato all’inverosimile, padre e figlia hanno dovuto riprendere, dopo una sommaria medicazione, la strada di casa. Perché anche lì, nel pronto soccorso dell’Annunziata, nell’esercito dei medici cubani, non vi era nessun dottore che potesse lontanamente far le veci di un otorinolaringoiatra. Prima delle dimissioni, però – anche stavolta senza una diagnosi precisa – alla ragazza viene consigliato di tornare il giorno successivo e di farsi visitare da uno specialista. Consiglio seguito alla lettera.
Nuovo viaggio, nuova trafila al triage e solita attesa del turno per la visita, alla fine della quale padre e figlia si sono visti presentare il conto, pardon il ticket, di poco più di quaranta euro. Una cifra tutto sommato equa per una visita se non fosse stata effettuata, però, dopo due inutili accessi in pronto soccorso. Una cifra che a guardarla da una certa angolazione assume la geometria di una burla sulla quale si potrebbero obiettare una serie di ragioni dalla dialettica poco consona a una riflessione pubblica. Resta il fatto ineluttabile, in ogni caso, che la sanità in provincia è una combinazione di caselle e di fortuna . È un po’ come il gioco dell’oca. Mancano i dadi, certo. Però chi va in pronto soccorso dev’essere preparato ad affrontare una specie di partita. Che il più delle volte è una spirale assurda di combinazioni e d’incastri e alla fine va già bene quando il conto da pagare è solo economico.

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