Addio, padre Fedele: da oggi siamo tutti più poveri. Il suo amore per gli ultimi e per il Cosenza, l'esempio della carità e quel desiderio irrealizzato
Padre Fedele Bisceglia si è spento in una caldissima giornata di agosto. E di queste, roventi, ne aveva vissute tante ma con lo stesso spirito degli altri giorni indossava il saio e si metteva a disposizione degli ultimi, dei dimenticati e dei poveri. E poveri, vuoti, tristi ci sentiamo tutti quanti in un momento come questo. Cosenza ha perso la sua reale bussola spirituale. Perché quando il Vangelo si fa esempio e si traduce in carità ha tutto un altro aspetto anche agli occhi dei fedeli. Potremmo vergare pagine e pagine - cartacee e virtuali - menzionando le decine e decine di opere caritatevoli svolte in tutto il mondo (da Cosenza all'Africa, sua seconda “casa”), potremmo tornare a parlare di un'inchiesta giudiziaria che si è spenta dopo una lunga gogna mediatica e che in sostanza ha prodotto lo sbriciolamento dell'Oasi francescana (preludio alla nascita del Paradiso dei poveri) o ancora del contentino offerto dalla Chiesa che, pochi giorni fa, gli ha offerto la possibilità di celebrare Messa, facendo cadere un veto lungo anni troppo tardi. No, non sarebbe corretto per chi non ha mai conosciuto padre Fedele Bisceglia.
L'amore per il Cosenza: quel giorno in conferenza, i funerali di Marulla, il feeling con Marco Grandinetti e il sogno di Pescara
Quei pochi che non si sono mai imbattuti, direttamente o per sentito dire, nella figura del monaco cosentino meritano di conoscerlo attraverso gli aneddoti. Sia chiaro, personalmente ho avuto modo di approcciarmi al frate molto avanti nella sua vita - per questioni anagrafiche - e probabilmente - anzi, sicuramente - sarei tra i meno titolati a raccontarlo. Però, allo stesso tempo, avendo avuto la fortuna di condividere con lui alcuni momenti significativi, sarebbe egoistico tenerli per me. Ricordo, ad esempio, padre Fedele in conferenza stampa. Ma non al fianco dei giornalisti o come tifoso (viscerale) del Cosenza, bensì dall'altra parte della “barricata”, in qualità di presidente del Cosenza Calcio 1914. Già, perché padre Fedele ha indossato anche i panni di numero uno della Società all'epoca del dualismo fatto in casa con l'Effeccì. Viene da sorridere, se oggi pensiamo che chi guida il Cosenza è completamente agli antipodi in quanto a passione: perché, sì, padre Fedele è stato senza dubbio il presidente, seppur per breve tempo, più appassionato della storia del Cosenza. Ero un giovanissimo cronista sportivo e lo ricordo in una stanzetta dello stadio “San Vito” circondato da pochi colleghi: rispondeva alle domande, era rabbuiato perché capiva che il calcio bruzio stava vivendo un'epoca nefasta, ma allo stesso tempo risultava credibile, sincero. E anche gli altri episodi sono legati al calcio. A cominciare dal funerale di Gigi Marulla, “figlio” prediletto tra i prediletti di padre Fedele. A causa del veto, non poté celebrare i funerali del compianto bomber rossoblù, ma il popolo cosentino ricorderà sicuramente molto più le parole urlate al megafono dal frate al termine della celebrazione, mentre il feretro di Tamburino di Stilo lasciava mestamente piazza Loreto, che tutto il resto. Negli anni recentissimi, a cavallo tra la serie C e l'inizio della nuova parentesi in B, padre Fedele faceva coppia fissa in tribuna stampa con il supertifoso rossoblù Marco Grandinetti - figlio di Pasquale, un'istituzione per chi conosce la storia del Cosenza calcio -: «Se non c'è Marco, la partita non inizia», ironizzava con i presenti, prima di sedersi accanto al ragazzo e di vivere insieme a lui 90 minuti di passione. Infine Pescara. La seconda Pescara rossoblù: non quella di Gigi, contro la Salernitana, ma la più recente che sancì il ritorno in B dopo 3 lustri vissuti nell'anonimato (o quasi) del pallone. Ecco, essendo più fresco, quel giorno lo ricordo bene perché, in compagnia del collega Danilo Perri, trascorremmo proprio insieme a padre Fedele le ore precedenti alla gara. Incontrammo il frate, a pochi passi dallo stadio, sofferente a causa del caldo, stritolato dalla tensione in vista della partita contro il Siena ma fiduciosissimo. Già all'epoca (2018) non stava benissimo, fiaccato dall'età e dalle sofferenze, ma non volle mancare all'appuntamento con la storia. Si sventolava di continuo ma con un pensiero fisso: «Guagliù, cumu a viditi oji? Saglimu?». Ripetuto quasi come un mantra, prima di rispondersi da solo grazie alla sua proverbiale fiducia verso la vita e verso il prossimo: «Sì, sì, tranquilli ca saglimu...». Altre volte, in seguito, ho avuto modo di incontrare e intervistare padre Fedele, sempre più piegato nel fisico ma non nello spirito: al cimitero, in piazza Kennedy, davanti a una chiesa. Non ha mai lesinato una parola di speranza o un sorriso, accompagnato dalla fidata Teresa Boerio. E non dimenticherò mai quei suoi occhi carichi di carità. Da oggi siamo tutti più poveri.