«Nel 1866 a Cosenza scoppiò il colera e, nella chiesa dei Cappuccini e della Riforma, furono allestiti due cimiteri provvisori». A riportarlo è Luigi Palmieri in “Cosenza e le sue famiglie attraverso testi, atti e manoscritti” (Pellegrini Editore): l'autore svela pure che, un anno dopo, il sindaco che aveva fatto fronte all'epidemia, Nicola Mollo, venne ferito a pugnalate e che subito dopo furono costruiti il Cimitero, il Rione Spirito Santo e la Biblioteca comunale. Un modo per dire che, quando nella città bruzia il brutto morbo si ripresentò (dei casi si registrarono anche nel 1837), ancora non era stato costruito il ponte di san Lorenzo né tantomeno qualcuno aveva progettato quello che sarebbe divenuto il maestoso teatro Rendano. Cosenza, diventata lazzaretto, era, cioè, lontana dalla costruzione delle grandi opere. Non lo era affatto, invece, sul fronte della rivoluzione medico-scientifica. Nella cura dell'epidemia, considerata da Leopardi - che tra l'altro morì proprio durante il colera di Napoli - simbolo di modernità (“Ferrate vie, molteplici commerci/vapor, tipi e cholera i più divisi”), si distinsero brillantemente diversi medici cosentini. Si tratta dei dottori Alessandro Lepiane, Bruno Tucci, Giuseppe Gallucci e Michele Fera che, appunto nel 1866, secondo quanto riporta il libro del 1884, “La civiltà cattolica”, «curarono il colera col solfato di ferro, e guarirono tutti gli ammalati che ne presero senza tentennamenti, dosi proporzionate all'intensità del morbo». Questi camici bianchi, in altre parole, ai lazzaretti, dove in tanti vennero dimenticati, opposero l'applicazione di una nuova cura: il metodo del dottor Domenico Guglielmi dell'Università di Napoli, che, in particolare, coincideva nella somministrazione di preparati ferrosi. “Metodo per curare il colera asiatico con il citrato di ferro solubile” è, non a caso, il titolo della pubblicazione scientifica - datata 1868 - del Guglielmi. I medici cosentini, dunque, sperimentarono la nuova cura e, stando alle fonti, salvarono gran parte degli ammalati a cui venne elargita. Nella Biblioteca Nazionale di piazzetta Toscano, ad oggi, sono custoditi dei documenti in grado di far luce su questa storia, anzi su questo spaccato di Storia nostrana. Tra gli scaffali della struttura si rintraccia, oltre al testo dell'allora sindaco Mollo dal titolo “Sul colera del 1866 in Cosenza: relazione del sindaco al consiglio comunale”, anche un volumetto del dottor Lepiane. Si chiama “Il solfato di ferro ed il colera: sunto storico clinico del mal coleroso sviluppatosi in Cosenza il 21 novembre 1866” ed è un testo di 47 pagine pubblicato dalla Tipografia dell'Indipendenza nel 1867. Un tuffo nel passato, costellato di illustri cosentini. Un passato così lontano così vicino.