Lucio Presta, il supermanager dei divi si racconta: "Il prossimo Sanremo sarà un atto di rinascita"
Sessant’anni compiuti qualche giorno dopo il trionfo del “suo” Festival di Sanremo. Vero deus ex machina della 70esima edizione, quella dei record, quella in cui il suo assistito Amadeus e l’amico Fiorello hanno fatto centro nel cuore degli italiani. Lucio Presta è il manager dei grandi dello spettacolo (da Benigni a Bonolis, passando per Belen, Antonella Clerici, Lorella Cuccarini, Nancy Brilli, Paola Perego, che è anche la sua compagna di vita, e appunto Amadeus) ed è cosentino di nascita con origini messinesi visto che la mamma Lucia era della città dello Stretto. Un amico della Gazzetta che ieri, in periodo di Covid, ha trovato il tempo di raccontarsi in una intervista che andrà in onda oggi su Rtp (alle 12.45, alle 17.45 e alle 21) e su GDS TV (canali 72 e 607, alle 15, alle 17.30 e alle 22.20). Cinquanta minuti in cui Lucio prende il sopravvento su Presta il manager, facendo emergere lati del suo carattere sconosciuti ai più. Quelli che peraltro sono il leit motiv del suo libro “Nato con la camicia”, in cui ripercorre la sua vita e soprattutto le origini calabresi. Volume presentato, nei mesi scorsi a Messina e a Cosenza, dall’amico di sempre, il giornalista di Gazzetta del Sud, Arcangelo Badolati, che ci introduce in una chiacchierata cominciata dal momento attuale. La quarantena «Sto vivendo questa quarantena lavorando a Roma, a casa e nel mio studio – racconta Presta – Per fortuna la televisione non si è fermata a differenza di tanti altri spettacoli. Anzi è uno dei pochi focolari rimasti accesi, anche se devo dire che non sempre ci sono prodotti buoni. La crisi dello spettacolo? Bisogna lavorare sulla mappatura delle persone, credo che in una nazione moderna si possa e si debba fare». Verso il Sanremo bis «La 70esima edizione del Festival ha rappresentato il successo dei sentimenti, è stata l’ultima cosa bella, come spettacolo, del nostro Paese prima del Covid. L’ultima condivisione di sentimenti popolari, una gioia per molti. Casualmente un sabato sera di due settimane fa mi sono accorto che in trend topic c’era ancora Sanremo 2020, a conferma del successo incredibile che è stato. Abbiamo fatto un grande lavoro, Amedeo è stato straordinario, circondandosi di gente che aveva esperienza del Festival e soprattutto gli voleva bene. Ha preso da ognuno di noi qualcosa e poi ci ha messo del suo, la sua anima. Ha persino battuto il record di ascolti che era sempre mio, perché apparteneva al Festival di Bonolis». E ora il bis, quasi scontato, come lo stesso Presta conferma, tra un sorriso e la voglia di lasciarsi andare. «Stiamo andando verso un Amadeus bis. Avevamo in mente di non farlo più, ma Amedeo è stato chiaro: “Lucio non stiamo facendo il secondo Sanremo, stiamo facendo il primo dopo il Covid” mi ha detto. È diverso, bisognerà trovare nuove idee e un nuovo modo di comunicare. È una nuova sfida che non vogliamo rifiutare, siamo fatti così. Ne stiamo parlando, ma sarà così». Con Fiorello confermato e probabilmente Jovanotti nel ruolo che è stato di Tiziano Ferro. Il messaggio di “Fiore” è stato chiaro nei giorni scorsi: “Se quest’anno non farai @sanremorai, alla prossima qualcuno ti bucherà le gomme della tua superbici (firmato gli Amarello)” ha scritto lo showman siciliano su Instagram rivolgendosi a Jova. E Presta ride: «Fiore in questo si è “prestizzato” – racconta divertito – quello che non può ottenere con le buone lo ottiene con la forza... della persuasione». Il ritorno alle origini La sua Cosenza, sempre nel suo cuore, dove è cresciuto e quel legame con Messina, la città di mamma Lucia che morì mentre gli dava la vita. «Cosenza è il posto dove mi sento più sicuro al mondo, è la mia casa. Ho provato a fare tanto per la mia città, come l’esperienza al Teatro dell’Acquario. Ho sempre avuto in testa la mia terra, ho provato a stare vicino ai ragazzi della mia città e non solo facendo conoscere loro personaggi dello spettacolo ma anche facendoli lavorare con me. Pensate che al termine di quel percorso avevo garantito a tre ragazzi, i migliori dei corsi, che avrebbero fatto uno stage di un anno da me a Roma per imparare il lavoro. Bene sono ancora qui, li ho assunti. Questa è la cosa di cui vado più orgoglioso, ho dato una chance ai giovani della mia terra. E poi c’è Messina, che è la città di mia mamma. Ci torno talvolta perché quella striscia di mare è un richiamo. Ho avuto delle barche e spesso mi sono fermato lì. E poi c’è il ricordo di mio nonno che mi diceva: “Lucio, tu hai la testa più dura del muro dell’ospedale Piemonte che ha resistito al terremoto”. Cosa dirvi altro...». Il ragazzo Lucio «Nel mio libro ho voluto raccontare questo aspetto. Il cuore di un ragazzo cresciuto con un dolore grande, quello di aver perso la madre proprio mentre mi stava dando alla luce. La mia avventura è stata trasformare questo grande dolore in qualcosa di straordinario, in un moltiplicatore di forza per ottenere i traguardi che ho raggiunto. Il dolore questo è. Ho avuto altri dolori grandi nella mia vita, ma la sofferenza sempre si è canalizzata in qualcosa di straordinariamente bello per il futuro. Evidentemente sono un uomo fortunato». Il rapporto col papà «Forse una cosa sola non è finita come avrebbe dovuto nella mia vita: il legame con mio padre, difficile da piccolo, complicato nella mia adolescenza, durissimo nella mia maturità. Un giorno mi disse una cosa tremenda, gli avevo appena comunicato che sarei andato a fare il ballerino (la carriera di Presta è iniziata così, nel corpo di ballo di Renato Zero, ndr). E mi rispose: vai vai, tanto tornerai da me con la mano tesa per chiedermi l’elemosina. Questa frase mi ha spinto a mettercela tutta nella vita. Il nostro rapporto si è completato in maniera dolce, perché io sono andato verso di lui come è giusto che facessi. Mi rimprovero di non averlo capito prima, quando lui era in vita. Mi ha lasciato una grande amarezza, ogni tanto mi metto seduto in un angolo del mio ufficio a chiacchierare con lui». Tv trash «Ho avuto la fortuna di lavorare sempre con artisti che hanno una storia, che hanno fatto la gavetta. Diciamo che non vanno per discoteche per diventare famosi. Artisti di un certo tipo, che attraversano la storia dello spettacolo del nostro Paese. Non gente che va e viene in pochi mesi». E Presta non le ha mandate a dire a Barbara D’Urso, definita nei giorni scorsi “Suora laica in paillettes”, e alla coppia Feltri-Giordano entrambi nel ramo d’impresa «inguardabili», chiarendo che non manderà i suoi artisti in quei programmi da «orrore televisivo». Il manager ci torna su: «Guardate, io ho lavorato tantissimi anni con Barbara, poi ci siamo allontanati perché avevamo visioni diverse su una scelta. La stimo come persona, non capisco perché abbia deciso di prendere questa deriva. Ma io contesto la testata che la ospita perché è una testata giornalistica. Se lei facesse solo spettacolo allora andrebbe anche bene, ma se fai un prodotto giornalistico allora no. Anche con Mario Giordano vale la stessa cosa. Feltri è un giornalista e può dire quello che vuole, ma ho rimproverato a Mario Giordano di non aver immediatamente preso le distanze da quella cosa gravissima. E solo per cercare l’ascolto. Con Mario ci siamo chiariti, ma la stella cometa deve essere un’altra». I progetti «Una chicca: abbiamo dato a RaiUno la possibilità di replicare nella serata del 9 maggio “I dieci comandamenti” di Roberto Benigni, che credo sia la vetta più alta raggiunta dalla tv italiana. Ho finito di montarlo 48 ore fa. Il monologo sulla felicità è qualcosa che ognuno di noi dovrebbe scolpire nel suo cuore e sapere a memoria. Poi con Amadeus facciamo una cosa bellissima a metà settembre su RaiUno: due serate con “I figli delle stelle”, trasmissione dedicata alle storia, al costume e alla musica degli anni 70 e 80. Cioè come dire una festa... E poi ci sarà la nuova avventura di Antonella Clerici che si sta lanciando in qualcosa di completamente nuovo. Con Paolo stiamo anche lavorando a uno spettacolo che riguardi il senso della vita nelle Università, dove il sapere nasce. Messina potrebbe essere una di queste». Accanto ai grandi «Ho la fortuna, come ho detto, di lavorare per artisti straordinari. Vi racconto una curiosità. Con Roberto Benigni abbiamo un’abitudine: di andare molto spesso, come appuntamento scadenzato, a mangiare in un ristorante di Roma. Non per parlare di cose di lavoro, ma solo per conversare, per il piacere di confrontarci su cosa accade nel mondo. Sono i pranzetti più belli della mia vita, esco da lì che sono profondamente arricchito. Con Paolo Bonolis ci chiamiamo “fratellone” perché siamo cresciuti insieme, siamo legatissimi. Mi è stato vicinissimo nei dolori forti. Con Amedeo abbiamo grandissima complicità. Di Lorella Cuccarini vi racconto che ha cominciato con me: era una ragazzina, il suo primo lavoro fu a Copenaghen, la sera poi andammo a ballare in discoteca ed eravamo io, lei e Beppe Grillo. Potrei scrivere un libro... Forse lo farò, in vecchiaia».