Una black comedy tutta italiana che denuncia con ironia, mettendo in primo piano le conseguenze dell’attuale crisi economica e la sofferenza di chi ne è vittima. “Ostaggi”, opera prima dell’attrice Eleonora Ivone, sceglie la Calabria come scenario di una narrazione dolceamara che fa riflettere e sorridere nei suoi risvolti imprevedibili.
Prodotto da Fenix Entertainment e Wake Up col sostegno della Fondazione Calabria Film Commission (la vecchia benemerita gestione che ha fatto aprire tanti set e ha portato a casa una messe di premi, “cancellata” di fatto da un nuovo progetto della Regione), il film – le riprese si sono concluse sabato – ha le musiche di Sergio Cammariere ed è tratto dall’omonima pièce teatrale di Angelo Longoni, marito della regista e coautore della sceneggiatura.
Protagonisti cinque personaggi rappresentativi dell’oggi, che offrono elementi di sano realismo alla vicenda di Marco (Gianmarco Tognazzi), imprenditore esasperato dall’ennesima cartella esattoriale che, inseguito dalla polizia dopo aver fatto una rapina in banca, prende in ostaggio il pavido panettiere Remo (Francesco Pannofino) e i clienti della sua attività: l’escort ed ex infermiera Ambra (Vanessa Incontrada), la pensionata rivoluzionaria e cardiopatica Regina (Elena Cotta) e il saggio venditore siriano Nabil (Jonis Bascir). Cercano di risolvere la situazione, fuori dalla panetteria, un commissario e una negoziatrice, Anna, interpretati rispettivamente da Alessandro Haber e dalla regista, che abbiamo intervistato.
Hai dichiarato che gli “Ostaggi” del film sono tali anche da un punto di vista metaforico. Perché?
«Tutti loro rappresentano una fascia sociale sotto stress, la più debole. Ci sono gli anziani, i più colpiti dal lockdown; c’è l’ex infermiera, donna astuta, che vede al di là di quello che sta accadendo e studia gli atteggiamenti del sequestratore; poi l’extracomunitario, membro di un’altra fascia sociale ai margini. Il panettiere è invece il cittadino medio che rivendica la sua posizione di uomo vigliacco, incapace di prendere una posizione se non per interesse personale. Ognuno di loro avrà momenti di grande exploit emotivo in cui rivendicherà i diritti della propria condizione sociale, denunciandone l’attuale stato di indigenza».
La vicenda parte da un testo teatrale, ma sembra utilizzare stilemi della grande commedia all’italiana per raccontare i nostri tempi…
«Infatti la commedia fa parte di quella tipologia di racconto che permette attraverso la comicità di mettere in luce vizi e virtù dell’uomo medio. Nella grande commedia all’italiana, di cui Monicelli è maestro, è la peculiarità umana ad essere sottolineata. E anche il nostro film lo fa».
Il film è girato tra Rende e Cosenza. In quali luoghi si sono svolti le riprese? In che modo la regione si è adatta alla narrazione della storia?
«Abbiamo girato principalmente a Rende, in un centro commerciale di via Kennedy visivamente meraviglioso, dove, sotto ai portici antistanti di Piazza Martin Luther King, abbiamo ambientato la panetteria e la postazione della polizia, che si trova dall’altra parte della fontana. Gli esterni sono stati realizzati tra Cosenza vecchia e Rende vecchia. La Calabria ha offerto una scenografia naturale superba e siamo stati accolti con grande disponibilità soprattutto dai sindaci delle due città. Si è deciso di ambientare qui tutto il film grazie al contributo concesso dalla Film Commission, ma anche perché la regione è paesaggisticamente interessante, una sorta di luogo-non luogo, adatto ad una storia rappresentativa di qualunque regione. Per le riprese sono stati selezionati maestranze e attori del luogo, con la Obiettivi Creativi di Lele Nucera, che ci ha aiutati nella fase finale di assegnazione dei ruoli. Anche lì ho trovato grande disponibilità e professionalità».
Il vostro è stato il secondo set a riaprire in Calabria dopo il lockdown. Come si gira con le restrizioni anti-Covid?
«Eravamo pronti già a marzo, e subito dopo la riapertura dei set abbiamo deciso con la Fenix di assumerci il rischio di girare in Calabria, regione “pulita”, con la più bassa incidenza di Covid in Italia. Sul set abbiamo cambiato la mascherina venti volte al giorno e fatto il tampone molecolare e sierologico una volta a settimana. Quindi un controllo costante a livello sanitario e limiti all’avvicinamento della gente, che si è mostrata sempre rigorosa, educata e ospitale. Il popolo calabrese ha rispettato le regole in vigore ed ho notato ovunque, compreso al centro commerciale, un serio rigore sulle norme».
Con la distribuzione di molti blockbuster stranieri rimandata al prossimo anno, come vedi il futuro del cinema italiano in sala? Ne beneficerà in qualche misura?
«I film stranieri sono sempre un asso nella manica per il cinema; invece la piattaforma permette maggiore uniformità, perché offre una varietà di possibilità anche per i film già visti, tra cui molti italiani. Spero che i distributori colgano l’occasione per spingere di più anche il nostro cinema un po’ sofferente. Le sale sono contingentate e gli incassi ridotti ai minimi storici. Ma la gente ha voglia di tornare al grande schermo così come al teatro. Finite le riprese si inizierà la post produzione e spero che quando il film uscirà saremo liberi dal problema Covid».
Alessandra e l’amore
Arriva nei cinema giovedì “Alessandra - Un grande amore e niente più” di Pasquale Falcone, commedia sentimentale ambientata su un’isola fantastica che strizza l’occhio al musical. Tra i protagonisti Sergio Muniz, Sara Zanier, Eleonora Facchini e la partecipazione speciale di Peppino Di Capri, che esegue una versione riarrangiata di «Un grande amore e niente più», con cui vinse Sanremo nel 1973. Al centro della storia Francesca e Roberto, diciassettenni: dal loro amore, poi subito interrotto, nascerà una bellissima bimba, Alessandra, che a 25 anni s’innamorerà di Valerio, scoprendo però che è... figlio del suo padre naturale.
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