L’amicizia tra due geni della filosofia. Raccontata da un funerale celebrato nel luogo sacro più imponente e importante della città. Eccola la scena tramandataci dagli osservatori dell’epoca. È il 3 ottobre del 1588. I notabili del capoluogo bruzio e i rappresentanti delle famiglie più importanti sono assiepati tra i banchi di legno sistemati lungo tutto lo spazio che dal grande portone d’ingresso arriva fino all’altare principale. Uno sconosciuto si avvicina lentamente alla bara di Bernardino Telesio, esposta nel Duomo di Cosenza. La chiesa, fatta costruire tre secoli prima da Federico II di Svevia, è gremita all’inverosimile. Quella dei Telesio è una delle storiche famiglie nobili della città. L’uomo, che veste un abito religioso, si ferma davanti al feretro e lascia uno scritto in latino. È il suo omaggio al prodigioso autore del “ De Rerum Natura Iuxta Propria Principia”, l’opera letterario-filosofica che ha messo in discussione la cultura aristotelica. Lo sconosciuto non è una persona qualsiasi: è Tommaso Campanella, il frate dominicano di Stilo, che passerà successivamente alla storia per aver scritto “La città del sole”. Il frate che la chiesa cattolica costringerà successivamente all’abiura dopo ore di indicibili torture ed un anno intero di detenzione carceraria, è un grande ammiratore di Bernardino Telesio. E aderirà al naturalismo del filosofo cosentino, inquadrandolo però in una cornice neoplatonica secondo la quale le leggi della natura non mantengono la loro autonomia – come statuiva Telesio – ma sono spiegate dall’azione creatrice di Dio.
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