Un’anima pura alla ricerca della felicità. Del suo posto nel mondo in un contesto sociale materialistico all’ennesima potenza. È la storia di Margherita, la protagonista che si dimena tra le pagine di “Quasi niente sbagliato”, romanzo di formazione scritto da Greta Pavan. Lunedì sera, la stessa scrittrice ha parlato del suo libro alla Mondadori di Cosenza.
Un testo che la giuria del Premio Sila ha inserito nella sua Decina 2024 e che ha seguito l’originale ed esclusivo iter – previsto per tutti i volumi scelti – di essere presentato al pubblico dal proprio autore. È un testo forte, quello della Pavan, subdolamente spietato. Segue le vicende di Margherita, giovane donna, figlia di emigrati veneti, che vive in Brianza. Una Brianza in cui tutto ruota attorno al lavoro. Socialità, rapporti, benessere, pensieri, sogni che diventano incubi per chi non riesce a “sottostare” alle logiche del materialismo tout court. Una Brianza che sta lì come un monito, una rupe tarpea pronta a liberarsi senza scrupoli dei suoi figli inadatti.
Durante la presentazione del libro, Greta Pavan ha parlato di una letteratura di provincia molto fertile ma spesso monotematica per luoghi di ambientazione, quasi sempre al Sud. Così ha pensato di cercare una storia in un altro pezzo d’Italia, dove è stato sempre difficile trovarne. «Laddove c'è un grande benessere, innanzitutto di tipo economico – ha spiegato la scrittrice – laddove sembra andare tutto bene, è più difficile trovare delle storie, perché queste partono necessariamente da un conflitto. Se non c'è un conflitto, anche in una narrazione a lieto fine, è molto difficile costruire una storia. E all'interno di ambienti di questo tipo è complesso trovarne. E quindi io mi sono domandata, ma veramente in questo tutto giusto, non c'è una piccola crepa?». E la crepa l’ha trovata. «Ci sono delle crepe – ha continuato Greta Pavan – apparentemente molto piccole che però possono essere indagate. E all'interno dei capitoli del romanzo troverete episodi minimi, di minima violenza, ma non una violenza traumatica, è più una tensione sotterranea che un'esplosione di violenza. Si parla di personaggi che vengono definiti da piccolissimi atti di violenza che ne circoscrivono l'esistenza. E tutto ciò accade specificamente sul luogo di lavoro».
Invita alla riflessione, “Quasi niente sbagliato”. E guarda tragicamente alla stringente attualità. Alla barbarie di alcune situazioni sociali e lavorative. Non solo per i giovani, ma per la società tutta. «C'è bisogno ogni tanto di tornare ad avere una letteratura civile – ha chiosato Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila, presente all’evento – che ci induca a riflettere su come è possibile essere arrivati a certe situazioni contemporanee e come, chissà, forse, le potremmo cambiare. “Quasi niente sbagliato” racconta più che un luogo, un tempo, il nostro tempo malato».
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