Cosenza

Sabato 23 Novembre 2024

Louis Garrel, il cinema nel sangue. Parla l’attore e regista, ospite della “Primavera” della Settima Arte di Cosenza

Divertissement, red carpet, star del grande schermo in vena di confidenze, coup de théâtre… gli ingredienti per la riuscita perfetta di una manifestazione si sono dati appuntamento al cinema Citrigno di Cosenza. L’occasione è stata la serata finale della Primavera del Cinema italiano Film Fest – Premio Federico II. Giunta all’undicesima edizione, la kermesse ideata dal presidente Anec Calabria, Giuseppe Citrigno, e sostenuta dalla Fondazione Calabria Film Commission, anche quest’anno è stata un gran successo. Dieci giorni dedicati al cinema, ai suoi protagonisti, al pubblico. Da prologo ha fatto il maestro Gianni Amelio che ha dialogato col pubblico in sala alla presentazione speciale di «Campo di Battaglia», sua ultima “creatura”, acclamata al Festival di Cannes. Quindi, i lungometraggi si sono alternati ad anteprime e incontri con attori e registi: 18 proiezioni, 13 film, di cui cinque in concorso, e sette corti. Solo per citarne alcuni, la proiezione di «Un mondo a parte» e il successivo incontro tra l’antropologo calabrese Vito Teti e il regista del film Riccardo Milani che per il soggetto si è ispirato al concetto della «Restanza», costrutto teorico sviluppato proprio da Teti. Grande spazio hanno avuto i corti, prima una giornata intera realizzata in collaborazione con la Fice (Federazione italiana Cinema d’essai), e poi il «Muina Fest - Vortici di identità e culture», una rassegna di cortometraggi curata dalla Consulta Intercultura della città di Cosenza. Per la sezione «Cinema sostenuto dalla Calabria Film Commission» nella sede di Confindustria Cosenza è stato illustrato il Bando Produzioni 2024, una misura a sostegno delle produzioni audiovisive che «candideranno opere cinematografiche intenzionate a scegliere per le proprie opere le bellezze paesaggistiche, i luoghi naturali e i contesti contemporanei che la Calabria offre come set a cielo aperto e ambientazioni narrative». Emozionante lo speciale «Cinema Ritrovato», con il patrocinio della Cineteca di Bologna, dell’Università della Calabria e con la collaborazione dell’associazione di promozione cinematografica «Cineforum Falso Movimento». Sullo schermo, «La Trilogia della Vita», di Pier Paolo Pasolini (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte). Ed eccoci alla serata finale, un cinema Citrigno traboccante ed entusiasta ha dato il caloroso benvenuto alle stelle del cinema nostrano. E visto il calore eccessivo, probabilmente, Giove Pluvio ha pensato di rinfrescare gli animi mandando giù qualche secchiata di pioggia che il tetto del cinema – aperto per creare un’atmosfera “stellata” – ha lasciato cadere sulle teste del pubblico. Intermezzo divertente, con piccola fuga e annessa rentrée, che ha movimentato l’evento. E dato il la a un vero e proprio show. Un simpaticissimo Giampaolo “ispettore Coliandro” Morelli ha raccontato un po’ di aneddoti cinematografici, lo stesso ha fatto Vinicio Marchioni, di origini calabresi, Isabella Ragonese ha svelato di essere stata catturata dalla bellezza del teatro Rendano dove le piacerebbe recitare, un’incontenibile Laura Morante, poi, ha parlato senza peli sulla lingua di colleghi attori e registi, stilando una sorta di lista di buoni e cattivi… E poi, ecco la star internazionale: attore, regista, sceneggiatore, figlio d’arte e chi più ne ha più ne metta. Il francese Louis Garrel, protagonista scapigliato, simpatico e molto a suo agio con la platea cosentina che ha letteralmente ammaliato con i suoi racconti pieni di verve e curiosità. E che noi abbiamo incontrato nel backstage… Attore e regista: ti stai cimentando con entrambe le cose, ma quale ti affascina di più? «Tutto mi affascina e mi diverte. La differenza tra attore e regista è nella preparazione: da regista smetti di avere una vita privata. Sono lavori diversi, non ho una preferenza. Eppoi, la verità è che quando giro un film penso sempre all'Italia. Mi piace il vostro Paese, la vostra cultura e il vostro modo di vivere. La lingua italiana è molto più bella del francese. Jean Cocteau diceva che gli italiani sono francesi di buon umore. Ed è proprio così. Quando sono in Francia sono pessimista, in Italia sono ottimista». Hai un legame speciale con l’Italia e con il cinema perché Bernardo Bertolucci ti ha dato il grande successo con «The dreamers»… «È uno dei miei più bei ricordi professionali. Bertolucci è venuto a Parigi a girare il film e non lo conoscevo affatto, né avevo visto i suoi film, tranne “Ultimo tango a Parigi”, che ho guardato, come tutti, solo nella mia stanza. Mi ripetevano di stare attento, con lui. Io invece l’ho trovato dolce, cattivo, intelligentissimo e soprattutto geniale. Dopo “The dreamers” ho fatto un film che è andato al Festival di Cannes. Il giorno successivo alla proiezione mi ha chiamato e mi ha detto: “Beh, so che è stato un fallimento”. Ci sono rimasto un po’ male. Ma lui era fatto così. Era di una cattiveria dolce. Mi piaceva e mi manca. Lo adoravo». Hai recitato in film di diversi generi. “L'innocente” è una pellicola divertente. Come mai hai puntato sulla commedia anche nella scrittura? «Non volevo fosse una commedia. Poi, i primi spettatori hanno riso di cuore. L’hanno deciso loro, il genere. È l'interpretazione che la rende una commedia. Messo in scena e recitato in modo diverso, potrebbe diventare tragico. È la storia vera di mia madre Brigitte Sy, che conduceva laboratori teatrali in carcere. È un mondo che conosco bene. Volevo creare una storia che gli ruotasse attorno, non un reportage sulla vita in prigione. Ho miscelato i generi del cinema popolare, in primis il noir comico e la commedia romantica non sdolcinata». Vivere in una famiglia di artisti... quanto ti ha condizionato? «Avevo grande ammirazione per mio nonno, che era un attore, specialmente di teatro. E già a undici anni lo guardavo recitare. Poi ho ammirato mio padre, con il suo cinema autobiografico, intimo. E mia madre, una donna straordinaria che ha lavorato 15 anni in prigione a fare del teatro ai prigionieri. Però, crescere in una famiglia dove tutti fanno lo stesso lavoro è un po' noioso. E imboccare la stessa professione mi ha creato non pochi problemi. Ma penso di esserne uscito…».

leggi l'articolo completo