Spesso vien da chiederselo. Se società e politica non popolassero le corti di nani e ballerine, cosa ne sarebbe della satira? Probabilmente poco. O nulla! Al netto degli sfaceli che la progenie di cotanto sottobosco ha prodotto in giro per il mondo – con buona pace di chi ha sempre pensato che fosse un’esclusiva degli anni Ottanta –, l’inequivocabile risposta ce l’ha fornita l’incontro con Jonathan Coe di ieri sera. [caption id="attachment_1954503" align="alignnone" width="300"] Jonathan Coe, foto di Alessia Cosentini[/caption] Nelle sale cinquecentesche di Palazzo Arnone, sede della Galleria nazionale di Cosenza, lo scrittore inglese è stato ospite della Fondazione Premio Sila per presentare il suo ultimo romanzo, «La prova della mia innocenza» (Feltrinelli), nell’unica tappa prevista nel Centro-Sud. Sotto lo sguardo del presidente della Fondazione, l’avvocato Enzo Paolini, e della direttrice del Premio, Gemma Cestari, un pubblico particolarmente numeroso e attento ha seguito con molto interesse le spiegazioni e le digressioni nate sul libro tra Coe e Marco Vigevani, uno dei massimi agenti letterari italiani, chiamato a dialogare con l’autore. [caption id="attachment_1954500" align="alignnone" width="300"] Jonathan Coe, foto di Alessia Cosentini[/caption] Il geniale narratore britannico deve la sua fama all’abilità con cui da sempre tratteggia vizi e virtù dei protagonisti della vita politica e sociale della sua Inghilterra, usando in maniera sublime l’arte dell’ironia, in una cifra letteraria sicura. Non è un caso se, negli anni, i suoi romanzi siano stati utilizzati per interpretare la società inglese e i personaggi politici che si sono avvicendati al governo del Paese. Attraverso la struttura narrativa del cosy crime, trama gialla leggera e dosi di humor, e stille di dark academy style, anche «La prova della mia innocenza» non fa eccezione. E tra una protagonista alla ricerca del proprio posto nel mondo e un omicidio misterioso, il romanzo fotografa i 49 giorni al governo di Liz Truss e la trasformazione dell’ala conservatrice britannica dagli anni Ottanta a oggi. Al termine dell’evento abbiamo incontrato Jonathan Coe – che segue la letteratura italiana, rivelando una passione per Italo Calvino e i suoi giochi linguistici, ma ha anche ammirazione per la scrittrice messinese Nadia Terranova e il suo «Addio Fantasmi» (Einaudi, in cinquina allo Strega del 2019) – per una chiacchierata parecchio trasversale… [caption id="attachment_1954506" align="alignnone" width="200"] Jonathan Coe, foto di Alessia Cosentini[/caption] Quanto la diverte, scrivere. Leggendo i suoi libri, ed è successo anche con «La prova della mia innocenza», l’ho sempre immaginata ticchettare sulla tastiera ridendo di gusto. Un sorriso amaro, spesso, ma pur sempre un sorriso… «Beh, a volte sì e a volte no. Scrivere questo libro è stato molto divertente specie per via del pastiche di stili diversi. Possiede un tono abbastanza giocoso in superficie, mentre invece in profondità si occupa di temi molto seri e importanti. Poi, se parliamo di un altro libro, che è stato scritto in occasione della morte di mia madre, ovviamente è stato più difficile addentrarsi nella narrazione, sebbene sia riuscito a fornire un’idea di quella che era la società britannica in quel momento specifico, così delicato per me». Il cosy crime è una chiave narrativa molto intrigante e popolare. L’ha scelto anche per allargare il bacino dei potenziali lettori e spingerli verso l’approfondimento di concetti politico-sociali importanti? «Direi che è più di un espediente. È vero che le persone che amano il genere del cosy crime ovviamente amano che ci siano dei fatti reali correlati. Ma mi piace proprio la narrativa crime, perché credo che sia la forma di narrazione più pura ed è anche forse la più intrigante, perché i lettori hanno bisogno di una soluzione e non credo quindi che si possa lasciare chi legge e si appassiona a questo tipo di narrativa in una sorta di situazione ambigua». La cospirazione targata anni Ottanta allunga le mani fino ai giorni nostri per firmare la paternità di una deriva della Destra verso lidi estremi… è soltanto una trovata narrativa o qualcosa da quegli anni è davvero partita? «Sicuramente io posso parlare della situazione politica britannica e certamente in politica abbiamo osservato uno spostamento delle posizioni sempre più a destra. Negli ultimi otto anni, a partire dal referendum per la Brexit. Quello è stato forse il momento in cui tutto è iniziato. Figure politiche come Boris Johnson sono diventate sempre più baldanzose ed esplicite riguardo alla direzione politica che si stava intraprendendo. E da quel momento in poi posso dire che i conservatori secondo me non sono più riconoscibili da quelle che erano le figure dei conservatori di 40 anni fa». Le giovani generazioni attuali, rappresentate nel libro da Phyl e Rashida, si scontrano con un mondo dentro cui si sentono inadatte, arrivando alla tristissima conclusione del «Non ho quello che ci vuole»… Come si è giunti fino a questo punto? «Ancora una volta credo che la Brexit sia in qualche modo una pietra miliare, perché ci ha fatto capire che le divisioni non sono più quelle tradizionalmente intese, destra o sinistra, uomini o donne, ma riguardano anche tutta una serie di temi culturali e politici, che hanno aumentato il divario tra la nuova generazione e le vecchie. Il referendum per la Brexit ha esasperato i concetti di confini, identità e sovranità che non erano condivisi dalle giovani generazioni. Le giovani generazioni si sentivano più europee, più votate a una libertà di movimento e di occupazione in ambito europeo e hanno visto che la vecchia generazione con il suo voto ha completamente escluso questa possibilità per loro. Persino mia figlia, il giorno dopo l'esito del referendum piangeva. E vi assicuro che l'ho vista piangere veramente poche volte». Finché ci sarà un posto nel mondo per la satira, ci sarà sempre un bambino pronto a gridare che il re è nudo… ma in quanti lo crederanno? «Beh, le persone sono diventate sempre più ciniche e questo credo che sia piuttosto pericoloso, perché quando le persone si sentono abbandonate dai leader politici, cercano di votare per quello che identificano come un salvatore. E il salvatore è semplicemente un estremista politico. In questo senso, credo che il cinismo politico sia presente nei miei romanzi, ma tuttavia devo pensare – e voglio pensare – che la democrazia sia ancora la soluzione. E proprio l'atteggiamento che descrivevo prima è stato ben identificato dal risultato politico delle elezioni americane di qualche giorno fa». Foto di Alessina Cosentini