
Ci sono personaggi capaci, replica dopo replica, anno dopo anno, di fermare il tempo, creare nuove emozioni condivise in una comunità di ascolto che, rapita, si lascia condurre attraverso la verità di parole e gesti, in una vicenda umana terribile e umanissima, forte e commovente. Pascalina non esiste nella realtà, ma esiste prepotentemente nel racconto di «Dissonorata- Delitto d’onore in Calabria», spettacolo che ha debuttato nel 2006, di e con Saverio La Ruina, una produzione della compagnia Scena Verticale di Castrovillari, ma che continua ad andare in scena (molto applaudito a Messina, nell’ambito della rassegna Festival delle Arti e del Pensiero, organizzata e promossa dalla Fondazione Messina per la Cultura) e, all’ennesima replica, dimostra tutta la sua forza e necessità. Perché con quella giovane donna del meridione – tradita dall’amore, violata nei sentimenti prima e nel corpo poi dal fuoco, che brucia ma non ferma la sua coraggiosa esistenza – è facile entrare in contatto, provare empatia e compassione, grazie alla scrittura profonda, dolce e feroce di La Ruina e alla sua capacità attoriale.
Vincitore di numerosi premi tra cui l’Ubu come migliore attore e miglior nuovo testo italiano, il Premio Hystrio, il Premio Ugo Betti, il Premio Matteotti, lo spettacolo – ammirato questa volta in uno spazio di rara bellezza, il Monte di Pietà – , senza orpelli stilistici ma grazie alla straziante verità della parola ci porta dentro l’universo di Pascalina, con le musiche di Gianfranco De Franco (in scena) che perfettamente puntellano la narrazione.
Dal racconto di La Ruina, sempre delicato e misurato anche nei momenti di massimo dolore, reso ancora più incisivo dall’uso del dialetto che stratifica i livelli della comunicazione, emerge una Calabria che anche quando fa i conti con la tragedia vi combina elementi grotteschi e surreali, talvolta perfino comici, sempre sul filo di un’amara ironia.
Sorprende sempre la capacità di La Ruina, che negli anni ci ha abituato a narrazioni monologanti di rara intensità, scavando con le parole nel fondo di storie ed emozioni dalla forza universale, di evocare una femminilità potente ma solo accennata, modulata su tinte dimesse, fra gesti, suoni, sussurri, un movimento leggero e ripetuto delle mani e del corpo, veri strumenti drammaturgici che sono in grado di rievocare un universo femminile intenso e coinvolgente.
Con dolcezza e semplicità – che sembrano stridere con la crudezza della materia narrata – Pascalina è come se guardasse dall’esterno la propria esistenza, condividendo piccoli desideri e speranze tradite, sino all’apice del calvario. In Dissonorata viene sublimato in scena un episodio di ordinaria sopraffazione familiare: Pascalina, che, ultima di tante sorelle forse è destinata a restare zitella, sogna di “emanciparsi” e scopre l’amore che non appena consumato si trasforma in incubo. Rimane incinta e viene abbandonata sia dall’uomo che avrebbe dovuto sposarla che dalla famiglia da cui subisce una punizione “corporale”: viene bruciata viva. Si salva per miracolo e poco dopo viene alla luce il figlio Saverio, che nasce lo stesso giorno di Gesù, perché la poesia può superare la tragedia.
Saverio la Ruina continua a offrirci con forza, dopo quasi 20 anni, un’indagine antropologica di un Sud che va ben oltre il microcosmo pollinese dove la vicenda è ambientata e ci parla di una condizione di subalternità della donna che ancora oggi è presente in tanti luoghi del mondo, anche molto vicino a noi. Donne offese ma non per questo vinte, che riescono anche a trovare solidarietà fra loro, potente arma per non smettere di esistere e sognare.
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