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Brunori Sas, da Cirella a Catania il trionfo continua

Il cantautore cosentino incanta il pubblico della Villa Bellini con un live strepitoso

foto Arena

Capita così, come il titolo di una sua canzone. Capita che alle soglie dei cinquant’anni (ne compirà 48 a fine settembre), dopo essere diventato padre e aver conquistato il podio al festival di Sanremo sfruttando a scopo di lucro proprio l’esperienza della paternità – perché in quel «teatrino sulla riviera ligure», parole sue, se metti in mezzo i bambini il successo è assicurato – Dario Brunori si trovi ad affrontare un’importante svolta nella sua carriera e soprattutto nella percezione del pubblico: se "Il cammino di Santiago in taxi" (2014) lo aveva reso il nuovo Papa dell’indie italiano, se "A casa tutto bene" (2017) lo aveva proiettato nell’Olimpo del cantautorato, con "L’albero delle noci" l’artista cosentino è diventato addirittura un fenomeno nazionalpopolare e, da acuto e curioso osservatore della realtà qual è, all’inizio del tour “uno e trino” del 2025 (la scorsa primavera nei palazzetti, quest’estate nelle arene con in più la doppia escursione orchestrale al Circo Massimo a maggio e all’Arena di Verona il prossimo ottobre) certamente si sarà chiesto che pubblico si sarebbe trovato di fronte. In più, con una carriera quindicennale e sei album all’attivo – i due precedenti all’ultimo certificati con il disco di platino – il repertorio per un live inizia a farsi consistente, e la scaletta doveva essere in grado di coinvolgere i nuovi fans senza deludere i brunoriani della prima; anche gli arrangiamenti, specie dopo il passaggio da Taketo Gohara a Riccardo Sinigallia nella direzione artistica dell’album e del tour, costituivano una nuova, ennesima sfida per il calabrese più famoso del panorama musicale italiano.

Inutile dire che, come sempre quando si tratta di Brunori, la soluzione è stata geniale: restare comunque sé stesso, non rinnegare l’ingenuità ma anche la freschezza degli inizi e inserire i nuovi brani in un discorso complessivo coerente ed omogeneo. E come sempre quando si tratta di Brunori, il risultato è stato geniale. Chi lo segue da tanto sa che Dario ama scherzare con il pubblico dei live sulle richieste di brani più vecchi, ma domenica sera a Catania, in una Villa Bellini praticamente sold out, ha avuto la prova tangibile che le sue scelte artistiche e autoriali sono state premiate. Non solo il suo pubblico storico non lo ha abbandonato, anzi continua a seguirlo con l’orgoglio di chi aveva capito prima degli altri e l’affetto di chi ha visto il proprio idolo cambiare, crescere ma mai tradirsi; in più, da A casa tutto bene a Sanremo la sua fanbase si è allargata a ragazzi sempre più giovani, come testimoniavano le primissime file gremite di adolescenti che chiedevano a gran voce brani che hanno in pratica la loro età, da Come stai a Guardia ’82, e che cantavano a squarciagola persino Italian Dandy (anch’essa tratta dal primo album del 2009). Cambiamento nella continuità: una scelta che investe anche la band, con i musicisti storici Stefano Amato (basso, violoncello, mandola), Dario Della Rossa (pianoforte e tastiere), Simona Marrazzo (cori), Mirko Onofrio (fiati, vibrafono, synth, cori) e Massimo Palermo (batteria e percussioni) affiancati da una sezione fiati formata da Luigi Paese (tromba) e Gianluca Bennardo (trombone) e dai violini e dal theremin di Lucia Sagretti, per un sound ancora più pieno, ricercato e “orchestrale” che Taketo Gohara ha saputo ulteriormente valorizzare.

Tra arrangiamenti rutilanti e momenti di scarna intensità, Brunori non rinuncia ovviamente alla sua anima da stand-up comedian: scherza («Siamo a Catania dove come cantautori non c’è mai stato niente, siete proprio a zero» salvo poi omaggiare Battiato sul finale di Italian Dandy), argomenta, finge di tormentare il pubblico («Le due canzoni allegre del mio repertorio sono all’inizio, poi sarà solo tristezza»), gigioneggia con il riff di Master of puppets dei Metallica su Lamezia Milano e chiude Il costume da torero in stile Baba O’Riley degli Who, insomma si conferma showman oltre che poeta, cantautore, vate (anche questa dal suo repertorio).

Poi però c’è anche la sostanza, ed è tanta roba come dicono i giovani d’oggi: due ore di concerto, venti brani più gli ormai canonici tre bis (il “momento-falò” con Guardia ’82 illuminata da migliaia di torce dei cellulari, il suo più grande successo La verità e ovviamente L’albero delle noci) e una generale sensazione di maturità artistica compiuta che è difficile eludere. Esecuzioni tutte di altissimo livello, splendide le versioni di Al di là dell’amore che apre la serata, Secondo me, Per due che come noi, delle due colonne sonore La vita com’è e Un errore di distrazione e del suo pezzo-feticcio Canzone contro la paura (forse mai sentita così bella dal vivo). Brunori suona quasi per intero l’ultimo album e A casa tutto bene, si limita ai tre singoli di Cip! ma sacrifica un po’ il secondo (presente solo con Lei, lui, Firenze) e soprattutto Il cammino di Santiago, dal quale regala a un pubblico in delirio soltanto Kurt Cobain lasciando fuori – ed è davvero l’unico difetto di un concerto perfetto – Arrivederci tristezza e Le quattro volte, peraltro due pietre miliari dei suoi tour storici. Ecco, magari si chiude con un pizzico di invidia per i “cugini” calabresi che nei giorni scorsi lo hanno visto esibirsi per due ore e mezza in due trionfali sold-out consecutivi al Teatro dei Ruderi di Cirella, a Diamante, ma di certo non si può dire che Brunori non si sia concesso al cento per cento anche al pubblico catanese che ha salutato così: «Spero che vi siate divertiti, noi ci siamo scialati».

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