Fulmini e saette. La nascita della “Città unica” infiamma il dibattito politico. E divide il centrosinistra. Il sindaco, Franz Caruso, è pronto a impugnare la Legge (votata su proposta dei suoi alleati del Pd) mentre l’ex parlamentare e primo cittadino di Rende, Sandro Principe, parla di una «scelta autoritaria».
È interessante capire qual è invece la posizione di Rosaria Succurro, presidente della Provincia e dell’Anci calabrese.
Presidente Succurro, come si colloca nel dibattito sulla Città unica?
«Sono favorevole alla Città unica e mi fa piacere che il dibattito sull’argomento vada avanti da tempo e susciti sempre molto interesse. È bene che se ne parli, perché i cittadini possono maturare un’opinione informata e matura, anche per esprimersi in sede referendaria».
Pensa che per la Città unica ci siano buone condizioni di partenza?
«Cosenza, Rende e Castrolibero sono già una conurbazione, e questo è un punto che nessuno mette più in dubbio. Inoltre, i tre Comuni sono complementari a livello territoriale e culturale. Rende si caratterizza per la presenza di un grande ateneo con le sue economie indotte, le sue funzioni terziarie, commerciali e culturali. Cosenza si distingue per un centro storico molto rappresentativo, grazie alla presenza di diversi luoghi di cultura, arte e creatività. Castrolibero, a sua volta, può considerarsi il cuore residenziale della Città unica. Nel contesto, poi, vi sono importanti collegamenti di servizio dell’auspicata Città unica, sia per l’esterno che per l’interno: l’asse autostradale A2 del Mediterraneo, la statale 107 Silana-Crotonese, la linea ferroviaria Cosenza-Paola. Insomma, parliamo di un agglomerato urbano fisicamente continuo, caratterizzato dalla presenza di rilevanti infrastrutture viarie e ferroviarie e da uno sviluppato sistema di servizi amministrativi, socio-sanitari e culturali. Sarebbe un peccato non considerare questi aspetti strutturali».
E quindi?
«Ci sono, dunque, le pre-condizioni per la Città unica. Aggiungo che fin dalle origini della conurbazione fra i tre Comuni, i nuovi residenti si sentivano parte di una città nuova ed unica, di cui coglievano le complessive utilità, al di là dei confini territoriali. Ciò su cui oggi ci si divide è il come gestire in maniera soddisfacente per tutti i cittadini interessati questa realtà, di fatto così unitaria. Chi frena, rispetto alla Città unica, sostiene che la normativa vigente, in particolare il Testo unico degli Enti locali, prevede strumenti associativi tra enti territoriali che possono allentare la separatezza delle rispettive gestioni istituzionali e burocratiche: gli accordi di programma, le convenzioni e via via più strutturati, i consorzi e le unioni di comuni.»
Non ritiene adeguati questi strumenti che ha citato?
«Oggi non lo sono più. C’è stato qualche accordo di programma per gestire i fondi comunitari e regionali, ma nulla di più. Emblematico è il mancato collegamento tra i due celebri viali: Mancini a Cosenza e Principe a Rende. In genere, poi, si parla dell’unione dei Comuni per esorcizzare la fusione. Ma l’istituto dell’unione ha avuto successo in pochissimi casi nello scenario italiano e per realtà di minime dimensioni. Mi sembrano tutti pretesti per evitare la fusione. Peraltro, il disegno di legge regionale sulla Città unica affida a tutti i cittadini dell’area urbana la scelta del nome del nuovo Comune. Dunque, vengono spazzati i campanilismi sul presupposto che sia meglio vivere in una città finalmente unica dal punto di vista istituzionale e burocratico, di là dal proprio nome».
Che cosa non ha funzionato nel passato?
«In questi quarant’anni, motivi a favore di una programmazione o una gestione unitaria del territorio ce ne sarebbero stati tanti. E tali ragioni sono oggi sempre più evidenti. La gestione dei trasporti è una delle primarie esigenze che spingono all’unità amministrativa dei territori di Cosenza, Rende e Castrolibero. Peraltro, negli anni sono fallite le occasioni di una pianificazione urbanistica unitaria. Invece, vari Comuni calabresi, molto meno conurbati di Cosenza, Rende e Castrolibero, hanno sfruttato l’occasione di un Piano strutturale associato, al fine di programmare uno sviluppo armonico. Nulla, poi, i tre Comuni dell’area cosentina hanno pianificato insieme in favore delle attività commerciali, artigiane, industriali o per l’agricoltura nelle zone collinari».
Insomma, secondo lei è giunta l’ora del cambiamento?
«Sì. La verità, comprensibile dal punto di vista umano, ma non da quello istituzionale, è che la fusione dei tre Comuni non è ritenuta conveniente dai singoli operatori politici locali, perché vi sarebbe solo un Consiglio, una sola Giunta, un solo Sindaco, qualche poltrona in meno, ma soprattutto, una maggior difficoltà di essere eletti con pochi voti ma sicuri».
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