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Brunori Sas sul palco del Festival «col cuore leggero»

Il cantautore cosentino racconta il suo nuovo album

Bidibi bodibi boo! Che l’ordinario si vesta di meraviglia. Che un incontro con la stampa si trasformi in spettacolo! È successo più o meno così, senza Smemorina né bacchette magiche. Ma con Brunori SAS, che, con quella sua aria sorniona e quel tono che ti fa pensare «questo tizio non ci sta provando affatto a essere serio», ha iniziato a raccontare strane storie… di neve e di miele, di scirubbette, di vurzette, di pietre di sale, di scaramanzia. Delle magare di San Fili!

Sì, il Teatro Auditorium dell’Unical di Cosenza è diventato un palcoscenico dove musica e riflessione si sono intrecciate in un connubio degno del miglior cabaret intellettuale. Senza lesinare risate a crepapelle. Dietro a tutto ciò, anzi davanti alla platea deliziata, Dario Brunori ha dissertato sui retroscena del suo nuovo album, «L'albero delle noci» – titolo d'effetto e… del brano che porterà a Sanremo 2025. Poi nella serata dei duetti canterà un brano iconico di Lucio Dalla, «L’anno che verrà», con Riccardo Sinigallia e Di Martino («Dalla è il cantautore che unisce tutti e tre», ha detto).

Che poi, scopri scopri, quell'albero esiste davvero, proprio davanti a casa sua. E l'artista sostiene lo ispiri ogni volta che «gli frulla qualcosa in testa». Come se, da anni, quel noce si trasformasse in un consulente musicale low cost. E che consulente! Da scuotere anche l’Accademia della Crusca, che ha decretato pubblicamente il testo sanremese di Brunori come il più valido e originale tra quelli in lizza. Un brano che canta la magia e l'inquietudine di una nuova nascita, quella della figlia Fiammetta. E di quel contrasto tra allegria sconfinata e terrore di perderla. Ma la canzone non è solo sulla figlia.

«Sarebbe stato per me molto difficile – ha spiegato Dario Brunori – portare un pezzo così. Non volevo essere sdolcinato e limitarmi a quello, ma far sì che la canzone fosse un pretesto per raccontare qualcosa di più ampio, che ha a che fare sì con le radici, quindi con il passato, ma anche con il futuro, e pensare al rapporto con le proprie radici come a un punto di forza. Non una forma di nostalgia, di malinconia, ma una forza rigenerante per il futuro».

Un album che segna il grande ritorno dell'artista cosentino dopo cinque anni, un vero viaggio interiore che invita ad apprezzare il percorso, non solo la destinazione...

Insomma, hai scritto «L’albero delle noci» per confessarci quale fosse il tuo consulente musicale low cost…
«Ne ho approfittato quando ho realizzato che non era particolarmente avido di punti Siae! La verità è che era tempo di tributare un omaggio a quell’albero che da oltre 13 anni mi osserva dallo studio dove scrivo e registro. Sono convinto sia lui a suggerirmi in qualche modo le canzoni. Spero almeno che così si accontenti e continui a darmi sempre nuova ispirazione».

Dopo il successo di «Cip!» un periodo di riflessione e poi «L'albero delle noci»… Cosa ti ha ispirato a scrivere e a produrre questo nuovo album?
«Sicuramente c’è dietro la voglia di non ripetermi, di rinnovarmi senza perdere l’essenza, cercando di rimuovere il superfluo per lasciare spazio agli stati d’animo più autentici, senza troppi artifici. È stato un lungo viaggio introspettivo, e avere accanto Riccardo Sinigallia è stato fondamentale: dico sempre che per me è un po’ come un maestro zen travestito da produttore!».

Svelaci i frammenti autobiografici che hanno occupato uno spazio in questo tuo ultimo lavoro.
«È un disco che racconta molto della mia età, di quello che mi è accaduto, ed è inutile negare che la nascita di Fiammetta abbia avuto un’influenza importante su ciò che ho immaginato e scritto negli ultimi anni: nel testo di “L’albero delle noci” – così come in “Guardia giurata”, un altro pezzo che ha a che fare con la sua nascita – sono molte le immagini che rimandano a lei per trattare l’esperienza della paternità nelle sue luci e ombre, la gioia incontenibile ma anche la paura di cadere nella tentazione di volerla risparmiare a tutti i costi dalle brutture del mondo».

Raccontaci com’è nata la collaborazione con Riccardo Sinigallia: in che modo ha influenzato il processo creativo e il risultato finale del disco?
«Riccardo mi ha guidato per mano in tutte le fasi del disco, oserei dire una seduta psicanalitica di due anni! Nell’ultimo anno in particolare c’è stata una fioritura di canzoni che ha portato al risultato finale di cui sono molto orgoglioso. Il disco nasce dal confronto a tutti i livelli con Riccardo per tornare a trovare quell’urgenza primigenia che muove la scrittura e l’ispirazione, il suo coinvolgimento è stato un motore fondamentale per creare quella rigenerazione che permea tutto il progetto».

Il brano «La vita com'è» ha già avuto un ruolo importante nella colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo «Odio l’estate». Com’è scrivere per un film?
«Nello scrivere per il cinema cerco sempre di aderire alla visione del regista senza perdere di vista la mia. Mi piace pensare che la canzone non sia solo accompagnamento, ma che diventi parte integrante della sceneggiatura contribuendo a far comprendere meglio ciò che accade sullo schermo. In questo caso “La vita com’è”, aprendo una scena chiave del film, fa un po’ da premessa di base all’intera pellicola».

Veniamo a Sanremo: pensi a te sul palco dell’Ariston e… cosa ti viene in mente?
«Per quanto possa essere emozionante e a tratti paralizzante l’atmosfera dell’Ariston, mi vedo su quel palco con il cuore leggero, con la gioia di portare un brano – e più in generale un progetto – che mi rappresenta pienamente e di cui sono molto convinto».

Rispondi con la massima sincerità: l’hai mai guardato il Festival di Sanremo?
«Non potrei dire no, Sanremo in casa era un po’ un’istituzione: del Festival conservo tantissimi ricordi personali e familiari, da “Il clarinetto” di Renzo Arbore passando per “Perdere l’amore” di Ranieri e Carmen Consoli con le sue incredibili performance, ma anche le lunghissime e tenere discussioni tra mio padre e mia madre su chi avesse imbrogliato nel votare».

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