La luce della fede, l’incontro con Dio e la consacrazione di Papa Francesco. Per Salvatore Marco Montone, la quotidianità scandita dalla fede oggi diventa dottrina consacratoria. Nella Basilica papale di San Pietro, il 32enne sacerdote di Spezzano Albanese, la più popolosa comunità italo-albanese del Cosentino, viene ordinato presbitero dal Pontefice. Nel rispetto delle disposizioni anticovid Papa Francesco, infatti, presiede la cerimonia che, dopo più di un anno, torna ad essere celebrata all’Altare centrale, quello «della Confessione», anziché come avvenuto in tutti questi mesi all’absidale Altare della Cattedra. La tradizione religiosa arbëreshe ma anche il diritto canonico latino hanno permeato la formazione del neo sacerdote Montone che, proprio nella comunità spezzanese, ha profuso un impegno particolare. Secondogenito di una famiglia molto praticante, Salvatore Marco è stato uno dei più assidui fedeli della parrocchia di Santa Maria del Carmine, così come nell’oratorio delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Dopo aver concluso gli studi di secondo grado a Castrovillari, si è iscritto all’Unical dove si è laureato in filosofia. Il neo presbitero, pur appartenendo alla Chiesa latina ama il rito bizantino-greco che incarna nell’Eparchia di Lungro un luminoso esempio di ecumenismo. Molto legato alle tradizioni popolari arbëreshë, don Marco ha sempre partecipato con passione alle manifestazioni culturali e agli eventi di promozione dell’identità popolare di Spezzano Albanese. L’esempio di Don Bosco per Salvatore Marco Montone, trasferitosi a Roma per seguire gli studi di Sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana, rimane la principale fonte ispiratrice di fede. E proprio nella residenza universitaria salesiana della parrocchia di San Giovanni Bosco di Roma. «Qui, una notte – rievoca il giovane religioso arbëresh – durante l’adorazione eucaristica in chiesa, si è palesata la chiamata del Signore». Per il neo sacerdote spezzanese sono state particolarmente importanti le esperienze di prossimità cristiana condivise nella Caritas diocesana, dove il giovane presbitero ha potuto sperimentare davvero «quella Chiesa ospedale da campo di cui ci parla papa Francesco».