La sapienza calabrese. Gianlugi Greco è direttore del Dipartimento di Matematica dell’Unical, presidente della Società italiana per l’Intelligenza Artificiale e presidente della task force istituita dal Governo per studiare il fenomeno. Sul tema dell’IA è uno dei massimi esperti italiani. È per questo che gli abbiamo posto alcune domande: è importante, infatti, comprendere la vastità di questa innovazione scientifica e capire quali saranno le ricadute future sulla società.
Professore, l’Intelligenza Artificiale come potrà cambiare la nostra vita?
«L’avvento dei sistemi “generativi” e dei Large Language Models, il cui esempio più noto è rappresentato da ChatGPT, ha portato l’Intelligenza Artificiale – sul finire del 2022 – a travalicare bruscamente i confini dell’accademia e dei centri di ricerca in cui si era sviluppata sin dai primi pionieristici contributi degli anni cinquanta. Oggigiorno l’IA non è percepita solo come un insieme di tecnologie in grado di supportare più efficienti ed efficaci forme di automazione industriale, ma è sempre più concretamente vissuta come un elemento che caratterizza la nostra società. Dalle tecnologie che ci assistono nella guida delle autovetture, ai chatbot che usiamo per interagire con i siti web, ai contenuti fake con i quali dobbiamo confrontarci quando ci immergiamo nei social networks, fino agli assistenti vocali che usiamo con grande familiarità sui nostri smartphone e nelle nostre abitazioni, le attività quotidiane sperimentano sempre maggiori connessioni con l’Intelligenza Artificiale. E non è difficile prevedere che sempre maggiore sarà la sua presenza nelle nostre vite, sempre più autonomi e “intelligenti” i sistemi informatici che saranno sviluppati negli anni a venire».
Quanto può rivelarsi pericolosa l’IA se fuori controllo?
«Come tutte le tecnologie trasformative, l’Intelligenza Artificiale apre un orizzonte di grandi opportunità, ma anche di rischi legati alle modalità e ai fini per i quali essa potrebbe venire impiegata. La normativa approvata dal parlamento europeo – il cosiddetto “AI Act”, di cui tanto si è discusso in questi mesi e che sarà gradualmente applicato in Italia entro i prossimi due anni – ben inquadra la problematica: nessun argine viene posto alla ricerca sull’Intelligenza Artificiale, nessuna regola alla tecnologia in quanto tale. Piuttosto, vengono analizzate le possibili applicazioni che l’IA consente di abilitare, ponendo divieti alla commercializzazione di quelle che rischiano di minare i principi fondamentali su cui si fonda la nostra società, come ad esempio le applicazioni finalizzate al controllo biometrico di massa o alla realizzazione di meccanismi di social scoring. È però del tutto evidente che una regolazione che si risolva nei soli confini dell’Unione Europea rappresenterà un argine troppo fragile ai pericoli delle applicazioni ad alto rischio, in un contesto in cui molte delle innovazioni tecnologiche giungono invece da oltreoceano. Ecco perché diventa rilevante spostare il piano del ragionamento su un orizzonte più ampio, partendo dai paesi del G7 in cui le opportunità e i rischi dell’IA sono al centro di riflessioni sempre più corali e condivise».
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