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Manomissioni del regionalismo differenziato e garanzie della Corte costituzionale

La Corte Costituzionale

di Silvio Gambino *

La dottrina costituzionale (una parte almeno) parla dell’attuazione dell’art. 116.3 Cost. nei termini di una fattuale ‘lacerazione costituzionale”, in quanto in essa si configurano lesioni inammissibili del principio di eguaglianza (fra le persone e fra i territori) e delle esigenze di universalità e di effettività dei diritti fondamentali (civili e sociali), e con essi della coesione nazionale. La Costituzione ne affida la relativa garanzia alla Corte costituzionale ove il Parlamento e la legge disattendano la loro fondamentale missione garantistica, egualitaria e unitaria.

Tali sarebbero, infatti, gli esiti attuativi dell’art. 116, c. 3, Cost. in tema di regionalismo differenziato attraverso le Intese già sottoscritte (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna) e quelle che sarebbero ancora eventualmente sottoscritte in futuro, le quali produrrebbero – quando (o qualora) attuate – un impatto regressivo sulla universalità e l’effettività dei diritti sociali e civili riguardati e con essi sulla coesione nazionale.

Determinandosi fattuali (e formali) discriminazioni nella eguaglianza delle prestazioni e dei servizi pubblici fra i soggetti nei diversi territori (e dunque violazioni del principio di uguaglianza), la tematica è di particolare sensibilità costituzionale in quanto la nuova distribuzione delle competenze fra le regioni (prevista nel quadro del c.d. regionalismo differenziato) incide in modo inevitabile sui diritti civili e più ancora su quelli sociali.

L’attuazione della legge (Calderoli) n. 86/2024, di attuazione dell’art. 116.3 Cost., inoltre, nel sopprimere la competenza concorrente nell’ambito di singole Regioni configura la ‘decostituzionalizzazione’ sostanziale dell’art. 117 Cost. Rispetto allo scenario che si viene a determinare nel quadro delle competenze riallocate fra Stato e regioni, non è irragionevole ipotizzare l’eventuale ripensamento da parte dello Stato delle competenze cedute, che potrà portarlo a rivendicare in futuro una interpretazione ampia delle proprie competenze, che determinerebbe il riacuirsi della conflittualità di fronte alla Corte costituzionale fra Stato e regioni.

In una simile cornice, la dottrina si chiede se esista un garante dei diritti fondamentali dei soggetti e del principio di unità/indivisibilità dello Stato. La risposta riconosce il fondamentale ruolo garantistico svolto in tale ambito dalla Corte costituzionale, che può essere chiamata a far valere le disposizioni di garanzia dei diritti fondamentali sanciti in Costituzione (dall’1 all’art. 13 Cost.).

Lo scenario istituzionale e politico delineato dall’attuazione dell’art. 116.3 Cost., in tal modo, descrive un quadro nel quale, se si prende atto delle incertezze del Parlamento nel conformarsi alla Carta costituzionale (così la legge n. 86/2024), a farlo sarà il Giudice costituzionale medesimo, sulla scorta di quella stessa autorevole dottrina (V. Crisafulli) che inquadrava i principi fondamentali della Carta come “super-disposizioni costituzionali”. Lo scenario che si può cogliere nello sfondo del dibattito in corso è dunque quello del ricorso auspicato alla Corte costituzionale, mediato dallo strumento referendario, che in queste ore ha raggiunto uno dei presupposti necessari (500.000 firme) per accedervi.

In tale prospettiva, se il terzo comma dell’art. 116 è indiscutibilmente una previsione sancita costituzionalmente, l’intera Parte II della Costituzione deve essere interpretata alla luce dei principi fondamentali (di uguaglianza, e di solidarietà), al fine di contribuire alla garanzia dell’esercizio dei doveri inderogabili di solidarietà che sono imprescindibili per assicurare i diritti inviolabili della persona, come singolo ma anche nella formazione sociali ove si svolge la sua personalità, tra cui le autonomie territoriali. Queste inoltre, sono già oggi in gran parte responsabili di quei diritti sociali che la Costituzione dichiara inviolabili proprio sulla base del principio di eguaglianza, di natura sostanziale.

In tale prospettiva, il Giudice delle leggi sarà chiamato a prestare le sue tutele a protezione della Costituzione e dei soggetti, se non certo con riguardo alla legittimità dei ddPCM, esclusa in ragione della natura amministrativa dell’atto (che il Governo ha deciso di adottare per l’attuazione dell’art. 116, c. 3, Cost.). Un impatto quello della legge Calderoli che, aggiuntivamente ai limiti già evocati, sulla base del presupposto di irreversibilità (ora derubricato a durata decennale rinnovabile) della decostituzionalizzazione praticata attraverso la riallocazione di fondamentali competenze in materia di diritti sociali e di infrastrutture, dovrebbe determinare il ricorso alla Corte costituzionale a protezione dei principi fondamentali della Carta (secondo la giurisprudenza della sent. 1146/1988).

Una premessa – quella richiamata – che vuole sottolineare come i limiti della politica partitica abbiano fatto correre gravi rischi alla unità politica del Paese, assegnando agli organi di garanzia (in primis alla Corte costituzionale) l’onere di farsi carico – unitamente alla garanzia dei diritti civili e sociali in ogni parte del territorio – delle esigenze di unità politica del Paese e di coesione nazionale.

Dell’insieme di tali problematiche (costituzionali e politiche) siamo ora invitati a riflettere anche in ragione della considerazione già richiamata secondo cui il più recente indirizzo politico legislativo/governativo, nell’ottica di attuazione dell’art. 116, c. 3, Cost., evidenzia in modo palese il rischio di lacerazione del principio unitario e con esso della diseguaglianza (fattuale) fra i cittadini nei diversi territori regionali. Il tutto nel corpo sociale di un Paese che si riconosce tuttora nella dinamica territoriale Nord-Sud, anche in ragione del loro appartenere (o meno) alle Regioni sottoscrittrici delle Intese di attuazione dell’art. 116 c. 3 Cost. (discriminazione interterritoriale in violazione dell’art. 3 Cost.).

Una simile prospettiva, così, se non vuole incorrere nel rischio di violazione/regressione dei principi fondamentali della Carta, deve riproporre quegli interrogativi fondamentali che da sempre vengono sollevati quando si riflette sui rapporti fra le forme istituzionali concrete del decentramento territoriale e le problematiche della loro compatibilità con i princìpi costituzionali posti a fondamento dello Stato repubblicano.

Ai fini di questa riflessione sugli (inevitabili) effetti regressivi del regionalismo differenziato sui diritti fondamentali (civili e sociali) – unitamente ai fondamentali principi di unità e di indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), fra i principi fondamentali di rilievo nella prospettiva della presente analisi – un ruolo fondamentale è ricoperto dal principio di eguaglianza (formale e sostanziale, inter-personale e inter-territoriale), da quello personalista e da quello solidarista, posti nel loro complesso a base della Costituzione repubblicana come principi assiologici, espressivi e di tutela dei valori fondamentali e fondanti dell’ordinamento repubblicano.

Tale catalogo di principi e di disposizioni costituzionali mira ad assicurare che l’autonomia territoriale costituzionalmente prevista dalle richiamate previsioni costituzionali e quella stessa che è (sarà) innovativamente consentita in particolare dall’art. 116, c. 3, Cost. non incida sulla relativa effettività, traducendosi nella limitazione delle necessarie prestazioni legislative e amministrative relative ai diritti fondamentali (sociali ma non solo) dei cittadini, a prescindere dal loro territorio di residenza.

In tale ottica, si ricordano, in particolare (con elencazione meramente indicativa) il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto alla istruzione, il diritto all’assistenza sociale e alla previdenza che, costituiscono, unitamente a tutti gli altri principi e diritti che sono positivizzati nel catalogo dei diritti fondamentali, pilastri basilari dello Stato sociale di diritto e, al contempo, attuazioni del principio di eguaglianza (art. 3.2 Cost.) e del principio solidaristico (art. 2 Cost.).

Unitamente agli altri principi fondamentali accolti nella rubrica costituzionale dei Principi fondamentali, tali principi informano di sé l’intera architettura repubblicana portando ad interrogarsi in modo necessario sugli ambiti e sui limiti del regionalismo qualora inteso (in un’ottica funzionalistica) non come mera riorganizzazione (costituzionalmente differenziata) delle competenze statali fra centro e periferia quanto piuttosto in termini di tutela della effettività dei diritti (civili e sociali) dei cittadini a prescindere dai confini territoriali dei governi regionali e locali.

Un tema – questo – che, a partire dalla riforma del Tit. V Cost., ritroviamo al centro dell’analisi costituzionalistica e del dibattito pubblico, ma che in modo assolutamente discutibile appare ora pretermesso nell’attuazione dell’art. 116, c. 3, Cost. Nella conversione legislativa del ddl Calderoli, come era stato già sancito nell’art. 1, c. 791 della legge finanziaria per il 2023, la legge n. 86/2024 (Calderoli) attuativa della novella costituzionale – fra altre discutibili previsioni con effetti di emarginazione del Parlamento – infatti, ha fatto ricorso in modo del tutto discutibile alla previsione di ddPCM (atti amministrativi che come è stato sottolineato criticamente dalla dottrina sfuggono alle previsioni di controllo del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale) come strumenti di attuazione delle previsioni in tema di LEP essendo soggetti, tali atti formalmente amministrativi, al mero controllo giurisdizionale del giudice amministrativo.

Come è stato osservato, infatti, la legge n. 86/2024 (Calderoli), unitamente alla legge di bilancio per il 2023, prevede/ono la “determinazione” dei LEP, assumendo in modo elusivo (ed enigmatico) come tale determinazione “possa essere fatta anche sulla base della “legislazione vigente”.

Ci si può chiedere in tale ottica se la procedura disegnata dalla legge Calderoli risultasse la forma più appropriata per fissare tale determinazione che risulta essere, come già osservato, competenza legislativa esclusiva dello Stato.

* docente Unical

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