
Lontano da aperitivi e regali, maglioni colorati e stelline, l’area urbana ha vissuto un altro Natale. Al freddo e al buio. Il Natale di Momo (il nome è di fantasia, questo come gli altri) giovane eritreo che da troppo tempo sopravvive tra topi e gelo sotto uno dei ponti che valicano il fiume Crati. Due volte a settimana viene raggiunto dai volontari e dalle suore di “Casa nostra”, impegnati con l’unità di strada, come di altre associazioni. Gli portano un tè e un pasto caldo, cercando anzitutto di creare un dialogo e un rapporto al quale però Momo continua a sfuggire. È successo anche la notte di Natale, quando suor Laura, Carolina e un altro volontario sono andati ancora una volta da lui.
Stavolta ha accettato pure un cappello, ma non ha volito saperne di raggiungere la sede dell’associazione dove potrebbe fare una doccia, indossare abiti puliti, pranzare e passare un po’ di tempo assieme agli altri. Chissà come nasconde dietro tanta diffidenza che in passato lo ha portato a rifiutare pure gli aiuti degli assistenti sociali comunali. A pochi metri da lui, sotto coperte e su un vecchio divano, c’era pure Said, anch’egli africano e a differenza di Momo pure gravemente malato. Ha raccontato d’avere febbre da tempo e ha continuato a tossire anche davanti a loro. Le suore conoscono la sua situazione e in questi giorni lo accoglieranno a “Casa nostra”. Sempre che mantenga la promessa e ci vada davvero. Lungo via Popilia, in un vecchio garage, l’unità di strada ha trovato Olga, suo marito e i loro due bambini. Sono bulgari. Hanno accettato due coperte oltre a un piatto di pasta imbottita, pollo e delle bottigliette d’acqua che per i volontari sono solo uno strumento per avvicinarsi a loro e creare un rapporto.

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