Quando ci lascia un amico (e Gianni Di Marzio lo era) si sfoglia sempre l’album dei ricordi. Vecchi di oltre trent’anni. Ma sempre chiari nella mente perché hanno segnato la storia del calcio cosentino a cui l’ex Seminatore d’Oro ha dato un contributo indimenticabile. Più volte nell’ultimo ventennio quando i presidenti alla guida del club rossoblù ci chiedevano suggerimenti nei momenti di difficoltà a livello tecnico la risposta era secca: «Ci vuole uno come Di Marzio per svegliare lo spogliatoio e risollevare le sorti della squadra».
La storica promozione in B della stagione 1987-88 fu anche il frutto del rapporto creato da Di Marzio con la città ad ogni suo livello. Dai dirigenti ai tifosi, dai politici ai giornalisti (finivamo a turno nel suo mirino prima degli allenamenti). E poi le lunghe passeggiate nei boschi dei ritiri altoatesini con il fido Renzo Castagnini con la consegna di tenere orecchie chiuse e bocche cucite («Ti raccomando, non fare il furbo»); e gli spaghetti rifatti più volte dai cuochi di turno (ne ricordiamo uno a Monte Porzio Catone, al ritorno dalla trasferta di Livorno) «perché noi siamo il Cosenza...». Anche per questo si sono vinte partite come quella di Salerno («Franco, ci vogliono gli elmetti stavolta», disse alla vigilia dello storico match del “Vestuti” risolto da Padovano) o a Francavilla prima dell’abbraccio serale con le migliaia di tifosi rossoblù al “San Vito” per festeggiare il ritorno in B dopo 25 anni. Poi il divorzio per fare spazio sulla panchina a Bruno Giorgi e il ritorno a dicembre 1990 al posto dell’esonerato Gigi Simoni, in tempo per centrare un altro importante traguardo: la salvezza con lo 0 a 0 di Trieste. Quindi, dopo la meritata conferma, un’altra separazione a novembre 1991 (arrivò Reja). Ma il suo rapporto con Cosenza e con dirigenti come Paolo Fabiano Pagliuso non si è mai interrotto. E ogni volta era una festa. Anche quando un anno fa in vacanza con la moglie Tucci nel vecchio quartier generale dei lupi a Casole Bruzio rimase bloccato per settimane a causa dell’emergenza Covid. Un “castigo” nella sua Cosenza accettato col sorriso sulle labbra.
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