Riceviamo e pubblichiamo la lettera di “un ragazzo della Sud” Tutto quello che aBBiamo. Caro Franz, lasciamo da parte i formalismi e diamoci del tu, in fondo tu sei sempre stato una persona colloquiale e disponibile verso i tuoi elettori e i tuoi cittadini. Chi ti scrive non è né un tuo elettore, né un tuo cittadino. Sono semplicemente un ultrà della locale squadra calcistica. Quel calcio giocato da cui tu, sin dal principio della trionfale campagna elettorale che ti ha condotto ad essere il primo cittadino di Cosenza, ti sei sempre professato - con una certa punta di orgoglio - poco conoscitore e alieno. Hai fatto del tuo “non sono tifoso” un mantra che ha dato di che sperare in bene per la costruzione e la ricostruzione di una città importante; quel tuo prendere le distanze dal calcio era voluto ad intendere come “in questa Città ci sono problemi ben più gravi del pallone e dobbiamo vedere come fare per...” Scelta vincente, senza dubbio, MA. C'è un ma grosso quanto una casa, anzi, quanto uno stadio; anzi: quanto una CATEGORIA. Il calcio come religione, il tifo come trattino d'unione per la popolazione, votante e non; futura elettrice e non. Quel calcio che è ben più di uno sciocco oppio dei popoli. Quel calcio che va oltre l'essere religione, oltre la fede; che ha nel senso di appartenenza il suo ardere invitto. Storica è la manifestazione di amore e di affetto della Città a quei colori, a quella squadra, che anche nell'inferno della D ha visto molti di noi sempre al fianco del nome: COSENZA. Scritto nei nostri diari di scuola ai tempi in cui l'internet non conosceva che una connessione ogni cento persone, scritto sui muri delle città e su quelli dei paesi limitrofi, scritto sulle mura di cinta del San Vito -perché per noi si tratta di un fortino da difendere, di un nome da preservare e tramandare, di un assedio da vincere, di scacciare gli i nemici magari con tre goal e un gran mal di testa dovuto alle urla e al tifo nostri. Quel nome scritto sulla nostra pelle con un lupo tatuato in rossoblù. Quel nome scritto nel nostro sangue. Mai si è vista un'amministrazione lasciarci del tutto in balia degli eventi. Quando fallimmo, quando eravamo in D, negli anni delle risalite e dei nuovi fallimenti, per non tornare più indietro nel tempo. Io ho solo quarant'anni, ma i nostri nonni e i nostri padri se ne ricordano e ce lo raccontano: CE LO TRAMANDANO. Ci hai lasciato soli Fra'. Ci hai lasciato senza speranze per poter viaggiare, senza mai spendere una parola quando l'omo dirigentis ci ha definiti in tutti i modi: dal “tifoso da strada” al “consumatore”. Ma di Guarascio no ne voglio parlare, il pensiero è comune fra noi tutti e chi dice il contrario sa, in cuor suo, di mentire a se stesso e a quei colori di vita. Io parlo con te, Franz. Parlo con te: sindaco della Mia Amatissima Cosenza. La Nostra Atene di Calabria, la Città capofila in tutte le manifestazioni: dalla Cultura al bel vivere; dal buon cibo, alle meraviglie storiche e il mistico torpore della confluenza misteriosa. Quella Città per molti di noi, specie per chi non ha più la fortuna di viverla, poiché i casi della vita ti portano lontano anche se vicino, rappresenta ben più di quanto ho banalmente accennato. Tu lo sai, come lo so io, come lo sa chi legge; come lo sa chi ci vive e chi non ci vive e chi dice il contrario, chi dice che Cosenza non meriti i fasti di cui ha goduto nel corso della storia, dice una bugia -cumu cu guarascio di cui sopra. Abbiamo condotto il Lupo silano ovunque, fieri abbiamo ostentato stendardi con le effigi del nostro antico popolo che fece tanto patire i romani la pece dei giganti. Fieri abbiamo chinato il capo, subito le sconfitte, arso all'inferno mentre venivamo presi per il culo da tifoserie improbabili di altrettante improbabili squadre di improbabili tradizioni da sagraccia di paesaccio. Fieri siamo andati in città del Nord dello Stivale, girato il Belpaese. Sempre con il nome COSENZA così nella voce, di più nel cuore. Ora ci andremo a giocare la categoria nella città della Leonessa, lontano lontano da qui. Nel profondo nord. Sbeffeggiati da gestori di trasporti privati che non hanno inteso garantirci il viaggio, giacché chi ha potuto ha fatto di tasca propria. In questo calcio malato di danaro, in questo calcio lontano dal romanticismo che ci fa vivere, in questo calcio dove fare l'ultrà è diventato, né più e né meno, che essere un criminale; in quest'epoca buia al silicio in cui chi ha potuto ha resistito nonostante la stanza dei bottoni ci sospende con accuse fantasiose e favolistiche dal poter soffrire sui gradoni per la nostra squadra, per i nostri colori. Per la nostra Città. Ci hai lasciati soli, Franz. Soli cumu nu debito, ma senza essere in debito. Non sei tifoso, ci sono cose più serie. Non entro nel merito dell'amministrazione, non è il mio campo, io sono un vecchio ultrà che avrebbe avuto a piacere nel sapere l'amministrazione al fianco di quelli come me che, a differenza di me, Cusenza a vivanu juarnu pi juarnu. Un vecchio Fiorentino nel secolo decimo sesto diceva che un governante, un principe, deve essere lungimirante e saper quando dare la carota e quando il bastone e quando è doveroso far “favori” al popolo, perché il dono non è mai fine a se stesso, nemmeno nei sacrifici biblici dei popoli d'Israele. C'è sempre qualcosa che arriva in cambio, anche se il dono è più che disinteressato e nemico del guadagno. Quella stessa amministrazione avrebbe potuto mettere una pezza e garantire un bel maxischermo, magari avrebbe potuto far lavorare qualche povero disoccupato come servizio d'ordine. Maxischermi organizzati dai privati, dagli ultrà, dai tifosi da strada, propria sponte. Quella, QUESTA amministrazione che avrebbe potuto tenere in conto che, magari, io il sogno di tornare a Cosenza lo realizzo. E come me tanti. Il sindaco, il principe, che non si basa sulla “religione” per governare il vulgo, lo fa perché ne è capace, ma la “religione” rimane, u principe, beh, ha una scadenza. Non è questione di fare od essere tifoso, Sindaco. Quella “religione” È TUTTO QUELLO CHE ABBIAMO. Forza Lupi. Siempre!