Il «reggitano» portava la roba buona nella Valle dell’Esaro. Ne erano convinti i fratelli Antonio e Roberto Presta che, intercettati in auto, parlavano di quel “compare” di Oppido Mamertina con un certo entusiasmo. Discutevano i fratelli Presta, discutevano sui soldi da investire nell’acquisto della «coca» e su quelli che si dovevano spartire riservandone una parte, pure, a Giuseppe, il figlio di Antonio, al quale «bisogna dare almeno una mille, mille e cinque... che quel ragazzo... può stare ...?». La voce dei due va e viene: le cimici collocate nella vettura su cui si trovano i fratelli Presta fanno il loro lavoro fino a un certo punto. Alcune frasi sono incomprensibili, ma poco importa perché al momento giusto, agli incontri di mercato, in una località nel territorio di Tarsia, gli investigatori sono lì, nelle vicinanze, a certificare le strette di mano tra i capi di quell’organizzazione che opera nel territorio arbëresh del cosentino e il “compare” della provincia di Reggio Calabria, quello che «porta la roba buona». Così si scoprirà che quel «reggitano» si chiama Antonio Giannetta e che tanto «reggitano» poi non è: almeno non lo è negli ultimi tempi, visto che abita con una donna a Cosenza – i poliziotti della Mobile l’altra mattina lo hanno intercettato e arrestato in un appartamento d’uno stabile in via 24 Maggio – e frequenta con una certa assiduità un club privato di Bisignano. Di «reggitano» avrà avuto l’accento, quello sì, ma buona parte della sua vita, in questi ultimi anni, la trascorreva nella provincia bruzia. Quando occorreva, però, andava giù, presumibilmente a Platì dove, s’ipotizza, vantasse non solo buone conoscenze negli ambienti giusti, ma anche una discreta reputazione: che lì se nessuno ti conosce non ti danno manco confidenza, ci si figuri polvere bianca, poi, o se si preferisce «quella roba buona» di cui tanto parlavano i due fratelli di Roggiano Gravina. Insomma, la “coca” che inondava l’enclave governata dalla famiglia Presta arrivava dal reggino e da lì – a sentire chi di certe cose se ne intende – niente si muove senza il “placet” di mammandrangheta. Attraversava tutta l’A2 del Mediterraneo quella «roba buona». A volte i corrieri partivano da Roggiano Gravina. Altre volte, volte, invece – almeno così emerge dalle risultanze investigative – era lo stesso Giannetta «il reggitano» a trasportare «la roba buona» a bordo d’una utilitaria sgarrupata – alla quale pare facesse d’apripista una sportiva e veloce berlina con quattro anelli sulla calandra – fin nell’Esaro, in quel punto convenuto nel territorio di Tarsia dove gli emissari del gruppo criminale si recavano per quelle che venivano definite «imbasciate serie con gente di fuori». E «serie» lo erano davvero quelle «imbasciate», visto che il valore d’ogni carico – secondo quanto emergerebbe dalle intercettazioni della Squadra mobile – s’aggirava tra i quindici e i ventimila euro. Agli incontri in quel di Tarsia insieme ai fratelli Presta era solito partecipare – almeno così si racconta nelle oltre 460 pagine dell’inchiesta della Dda denominata “Valle dell’Esaro” – anche Mario Sollazzo al quale, poi, una parte della roba veniva ceduta – sempre secondo le risultanze investigative – a 3 euro al grammo.