Furia omicida. Il carabiniere Alfredo Valente, 33 anni, nell’autunno del ‘96, rifiutando di accettare la rottura del rapporto matrimoniale, compì una strage all’interno di una villetta posta sulla strada che s’insinua sul Pollino collegando Diamante a Buonvicino. Esplose ventitré colpi di pistola calibro 9: gli investigatori dell'Arma, giunti sul posto, trovarono sangue sui pavimenti e le pareti, sei corpi straziati dai proiettili e le tracce di due bambini, silenti testimoni della carneficina, che però non erano più in casa. Era il 19 novembre 1996. Un giorno da dimenticare. Valente penetrò a tarda sera nella villetta dove la moglie, Genny Salemme, 32 anni, era andata a vivere con la figlioletta e uccise la donna, i genitori della donna, Raffaele Salemme, 75, e Marianna Amoroso, 72; i cognati, Francesca Salemme, 38 e Luigi Benvenuto, 39 e una nipotina di undici anni, Fabiana, figlia della coppia. La minore morì abbracciata alla madre. Valente, che prestava servizio a Formia, non ebbe poi il coraggio di togliersi la vita e fuggì via in auto portando con sé i due piccoli involontari testimoni della strage: sua figlia Alessandra, 4 anni e Marco, d’un anno più piccolo, fratellino di Fabiana. L’uomo venne arrestato dai suoi stessi colleghi, dodici ore dopo, in Lombardia. Valente processato dalla Corte di assise di Cosenza, fu difeso dall'avvocato Raffaele De Luna, del Foro di Paola e condannato a 30 anni di reclusione. La pubblica accusa in dibattimento venne patrocinata dal pubblico ministero Francesco Greco. Ora, dopo aver scontato 25 anni di detenzione, l'ex militare vive nella zona di Diamante. È tornato libero grazie agli sconti di pena previsti dalla buona condotta e all'indulto di 3 anni concesso dallo Stato.
A Diamante vivono pure quei due bambini superstiti della strage. Marco Benvenuto oggi ha 28 anni. Ed ha accettato di parlare.
Che ricorda di quella sera?
Molte cose, alcuni particolari... avevo tre anni. Ricordo che era come se ci fossero stati dei fuochi d’artificio, stavo giocando, il balcone era aperto ci fu un gran trambusto... e m’infilai con mia cugina sotto il tavolo della cucina. Non erano fuochi era il rumore degli spari. Io e Alessandra ci spostammo nascondendoci sotto il letto...
E poi cosa accadde?
Ci fece uscire da sotto il letto, io presi un peluche cui ero tanto affezionato - un coniglietto giallo e viola - e finimmo in macchina. Non ricordo tanto del viaggio... era come se mi fossi tagliato qualcosa, sapevo che mi ero fatto male (il bimbo era leggermente ferito ndr). Però non avevo paura, tenevo stretto il peluche. Mi ricordo poi la macchina ferma, a un certo punto, con un elicottero che volteggiava su di noi. Ancora rammento la casa di mio zio a Brescia e poi il viaggio in aereo e il ritorno a casa.
Ecco, tornato in Calabria dove è andato a vivere?
Per un anno sono stato con i miei nonni, Silvia e Gennaro. Poi ho vissuto con i miei zii, che ho considerato e chiamo mamma e papà: Claudia, che è la sorella di mio padre e il marito Alfonso. Sono cresciuto con le loro figlie, che per me sono sorelle: Marilena e Serena. Ho avuto tantissimo amore da loro. Sempre.
L’assassino dei suoi familiari è tornato in libertà: l’ha mai incontrato?
«Non lo so, non credo, non ricordo la sua faccia. So, però, che vive a trenta metri da casa di mia nonna che è una donna che ha sofferto tantissimo.
Cosa prova nei confronti di Alfredo Valente?
Non sento rabbia nei suoi riguardi.
Lo perdonerebbe?
Perdonare è una parola grossa...Lui è il cattivo esempio della razza umana, un uomo che ha ucciso per gelosia. E tutti abbiamo sofferto per la fine di un amore, è normale. Ma non si può uccidere... Una persona che fa una cosa del genere, una strage, avrei voluto che restasse almeno lontano dalla Calabria. È impossibile pensare che sia tornato libero.
Ha qualcosa da contestare?
Questa tragedia ha distrutto la mia famiglia, le risorse di mio padre, di mio nonno. S’è perso tutto: mio padre aveva creato una piccola azienda che produceva pellami, scarpe... Non è rimasto nulla. Lo Stato dovrebbe tutelare la famiglia, il lavoro e in questo caso non è stato tutelato niente. Occorrerebbe più attenzione verso le vittime della violenza e verso i minori che vengono scaraventati verso un destino che non hanno scelto. Porto i segni e le conseguenze morali, esistenziali e anche economiche di quello che è successo»
Marco Benvenuto ha scelto di tornare ad abitare nella villetta dove tutto è accaduto. Un luogo rimasto fermo per 25 anni. Vuol far rifiorire il giardino perché quella è la sua casa.
I sopravvisuti
Marco Benvenuto, 3 anni, e la cuginetta Alessandra di 4, furono i soli sopravvissuti alla strage compiuta il 19 novembre del 1996 a Buonvicino, piccolo centro del Cosentino non distante da Diamante. I due bimbi vennero portati via dal pluriomicida che, alla guida di un’auto, raggiunse la Lombardia dove fu poi arrestato dai suoi stessi colleghi. Alfredo Valente, a conclusione del processo venne condannato a 30 anni di reclusione. L’ex carabiniere, che all’epoca prestava servizio a Formia, utilizzò la pistola di ordinanza per far fuoco contro la moglie, Genny Salemme, 32 anni, i genitori della donna, Raffaele Salemme, 75, e Marianna Amoroso, 72; i cognati, Francesca Salemme, 38 e Luigi Benvenuto, 39 e una nipotina di undici anni, Fabiana, figlia della coppia. La minore morì abbracciata alla madre. Valente venne difeso dall’avvocato Raffaele De Luna e la pubblica accusa rappresentata in giudizio da Francesco Greco.
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