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’Ndrangheta, tutte le storie dei “fuggitivi” calabresi: da ‘compare Rocco’ al latitante cosentino Edgardo Greco FOTO

Il latitante dimenticato. Edgardo Greco, 56 anni, di Cosenza, deve scontare una condanna all'ergastolo per duplice omicidio. Dal 2006, tuttavia, riesce a sottrarsi alle forze di polizia. È l'ultimo importante “fuggitivo” calabrese rimasto in circolazione: qualcuno ritiene si nasconda in Germania, altre “fonti” lo indicano invece ben mimetizzato in Calabria. Il suo nome non compare stranamente tra quelli dei ricercati più pericolosi sebbene da ben tre lustri riesca ad eludere le ricerche. Le nostre strutture investigative, peraltro, hanno assicurato alla giustizia negli ultimi anni “uccel di bosco” fuggiti in mezzo mondo. Approfondiamo...

Il Sudamerica

“Compare Rocco”. Dopo la clamorosa evasione dal carcere di Montevideo, compiuta nel giugno del 2019, Rocco Morabito aveva scelto una elegante città del nord del Brasile, Joao Pessoa per scampare alle manette. È lì che è stato arrestato, nel maggio scorso, dai carabinieri grazie alle indicazioni fornite da De a ed Fbi statunitensi. Prima di fuggire nella patria del Samba, il latitante calabrese, originario di Africo, era finito in manette in Uruguay, nel 2017, dove viveva in una delle aree più suggestive del paese sudamericano: Punta de le Este.

Ma la terra attraversata dal Rio delle Amazzoni è da sempre considerato un rifugio sicuro dai narcos della 'ndrangheta. L'8 luglio del 2019, sono stati infatti ammanettati in un lussuoso residence di San Paolo, il superboss Nicola Assisi e il figlio, Patrick, originari di Grimaldi, piccolo paese del Cosentino, ma operativi in Piemonte. I due, latitanti da tempo, sono stati trovati in possesso di denaro, droga e punzonatori utili a sigillare i container navali. Nella villa di Assisi, a San Giorgio Canavese, i finanzieri del Gico negli anni scorsi avevano trovato sotterrati “sottovuoto” 4 milioni in contanti di euro. Il successivo 16 settembre, del 2019, invece, è stato arrestato dagli agenti della polizia federale sudamericana Andre de Oliveira Macedo, detto “Andre do Rap”, scovato in una villa ad Angra dos Reis, una nota località marittima a circa 150 chilometri da Rio de Janeiro. «Secondo le informazioni delle agenzie di intelligence internazionali, l’uomo era a capo del gruppo del Pcc incaricato di inviare droga dal porto di Santos alla Calabria, e da lì nel resto d’Europa», ha dichiarato dopo l’arresto il commissario brasiliano Fabio Pinheiro Lopes. La rete intercontinentale del traffico di stupefacenti, messa in piedi da latitanti calabresi e sudamericani, ha perso successivamente un’altra maglia importante. Già, perché grazie alla Dea statunitense, la polizia brasiliana ha arrestato a Maputo, in Mozambico, Gilberto Aparecido dos Santos, meglio conosciuto come “Fuminho”, uno dei più noti narcos del Paese e storico leader proprio del Primeiro Comando da Capital (Pcc). L’uomo è stato estradato dopo poche ore in Brasile a bordo di un aereo delle Forze armate sudamericane con a bordo una decina di agenti di polizia. Le autorità di Maputo avevano arrestato, dopo venti anni di latitanza, il boss che sembrava ormai imprendibile, contestandogli di aver fatto illegalmente ingresso nel Paese. “Fuminho” come “Andre do Rap” potrebbe raccontare molte cose sui rapporti avuti dalla sua organizzazione con i calabresi.

Il nove giugno del 2017, nell’aeroporto di San Paolo (Brasile) mentre stava imbarcandosi su un volo per Caracas (Venezuela) ha perso la libertà Vincenzo Macrì, nipote cinquantenne di Antonio Macrì, il cosiddetto “capo dei capi” ucciso a Siderno nel 1975 dopo una partita a bocce. Prima di lui il Sudamerica s’era rivelato fatale per la libertà di Roberto Pannunzi, detto “Bebè”, forse il più grande broker calabrese della cocaina mai esistito, arrestato nel luglio del 2013 a Bogotà. A Medellin, nell’aprile di quello stesso anno, furono pure ammanettati, in due distinte operazioni, Domenico Trimboli, inteso come il “boss dei due mondi” che viveva in una villa nella zona di Caldas e Santo Scipione, detto “don Santo”, che si godeva la vecchiaia in una ben attrezzata fazenda. Entrambi, come Macrì, risultavano coinvolti nella grande trama del narcotraffico internazionale.

Dall'America Latina al Nordamerica

A Toronto, in Canada, gli investigatori calabresi hanno arrestato il tre settembre del 2013, Carmine Bruzzese, originario di Grotteria, indagato nell’operazione “Crimine”; Giuseppe Coluccio, di Gioiosa Ionica, scovato il 7 agosto del 2008 in un palazzo sempre di Toronto e Antonio Commisso, di Siderno, rintracciato il 26 giugno del 2005 nella grande città dell’Ontario.

Il vecchio continente

Pure l'Europa ha sempre rappresentato una sicura zona di residenza per le “primule” calabresi. A marzo del 2021, a Lisbona, in Portogallo, è finito in manette Francesco Pelle, 44 anni, di San Luca, noto come “Ciccio Pakistan”, che pur essendo ormai costretto a vivere su una sedie a rotelle era riuscito a raggiungere la capitale lusitana a bordo di attrezzati veicoli preceduti da auto-civetta . I carabinieri l'hanno scovato in una clinica privata dove era ricoverato per problemi legati al Covid. Pelle era fuggito dall'Italia con documenti falsi e, dopo aver attraversato il sud della Francia, s'era spostato in Portogallo. Il primo dei latitanti calabresi ad essere fermato in terra lusitana, nel lontano 1992, era stato Emilio Di Giovine, boss del narcotraffico calabro-lombardo a Milano negli anni 80 del secolo scorso. Il ricercato, protagonista qualche anno prima dell’arresto di una clamorosa evasione nel capoluogo lombardo, venne individuato a Faro, nel sud del Portogallo, con il fratello William. Di Giovine è figlio di Maria Serraino, originaria di Reggio Calabria, passata alla storia come il capo del gruppo familiare che controllava a Milano lo spaccio di stupefacenti nella zona di piazza Prealpi. “Nonna eroina” - così la chiamavano gli investigatori – è morta nel 2017 ad 86 anni. Emilio Di Giovine, come la sorella Rita, ha scelto poi di collaborare con la giustizia deponendo in importanti processi istruiti contro la 'ndrangheta sia nel capoluogo meneghino che a Reggio Calabria. L’ex boss, nel 1995, è stato anche condannato dalla magistratura portoghese a 16 anni di reclusione per traffico di stupefacenti. Pure in riva all'Atlantico, infatti, non aveva smesso di organizzare l'importazione e la commercializzazione di hashish.

Nei Paesi Bassi, a Utrecht, invece, nel settembre del 2013 è finito in manette Francesco Nirta, di San Luca, mentre nel marzo del 2009 ad Amsterdam è stato arrestato Giovanni Strangio coinvolto nella faida scoppiata nel piccolo centro aspromontano. A Duisburg (Germania) è finita nel 2011 la latitanza di Bruno Pizzata detto “Josè”, coinvolto nelle attività di un cartello di narcos originari sempre di San Luca . L'uomo è morto nei mesi scorsi dopo aver contratto il Covid nel carcere di Catanzaro. Il 6 settembre del 2017, ad Amsterdam, è finito in manette, Antonio Bonarrigo, 36 anni, di Cinquefrondi, snidato in un elegante appartamento.

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