I nuovi pentiti. Una schiera di collaboratori di giustizia affolla la scena giudiziaria dell’area urbana. Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna, Mattia Pulicanò, Luciano Impieri, Giuseppe Zaffonte, Luca Pellicori, Vincenzo De Rose, Francesco Noblea, Giuseppe Montemurro: una ondata di “gole profonde” ha attraversato gli ultimi importanti processi di mafia. Droga, estorsioni, omicidi, pestaggi, servizi di sicurezza nelle discoteche, rapporti con esponenti politici: i malavitosi lanciatisi tra le braccia dello Stato hanno parlato di fatti e misfatti suscitando in talune occasioni anche dubbi e perplessità. Uno di loro - Adolfo Foggetti - è persino finito in galera per le bravate fatte su Facebook dove si mostrava con banconote e armi mentre viveva sotto protezione.
In questa nuova stagione di “pentitismo” - dopo la prima degli anni 90 sviluppatasi a cavallo del maxiprocesso “Garden” - spunta tuttavia, un personaggio inusuale: si tratta di un figlio d’arte “traditore”. È Celestino Abbruzzese, condannato con sentenza definitiva a 13 anni e 4 mesi di reclusione per traffico di droga, s’è messo infatti a “cantare” facendo finire nei guai padre, fratelli e cugini. Lui, però, al contrario di Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone detto “l’ingegnere” di Limbadi; Giuseppe Giampà, di Lamezia Terme, figlio di Francesco inteso come “il professore”, Francesco Farao, figlio di Giuseppe, re del Cirotano, Dante Mannolo, figlio di Alfonso, “signore” di San Leonardo di Cutro, non viene dalla ’ndrangheta ma dalla criminalità nomade. È il primo tra i cosiddetti “rampolli” degli zingari a saltare il fosso. Qualche giorno fa ha deposto in Corte di assise nel processo bis istruito per far luce sulla uccisione di Luca Bruni, “ reggente” dell’omonimo clan, avvenuta nel gennaio del 2012 alla periferia di Rende. In aula ha raccontato d’essere venuto a conoscenza dell’eliminazione di Bruni quando era ancora in carcere. Fu il fratello Marco (che nell’ambiente criminale è conosciuto col nomignolo “lo struzzo”) a dirgli che il cadavere era stato sotterrato e che non ne avrebbe dovuto «far parola con nessuno». I particolari più inquietanti, però, “Micetto” li avrebbe appresi in seguito, nel corso d’una cena in famiglia, organizzata per festeggiare la sua uscita dalla galera. In quel contesto – Celestino Abbruzzese ha rivelato che erano presenti, la moglie, la mamma, il fratello Nicola, la sorella Rosaria e il cognato Antonio – la discussione cadde proprio sulla morte del reggente della famiglia “Bella bella”. Tra un boccone e l’altro, e davanti ai figli minorenni, apprese che l’agguato era stato preparato da Franco Bruzzese e Maurizio Rango vertici del clan “Rango-zingari”. I suoi fratelli – Nicola, Luigi, Marco e Antonio – insieme a Ettore Sottile, invece, si occuparono di far sparire quel cadavere ingombrante. Ma “Micetto” la decisione di “cantare” non l’ha presa in solitudine ma in compagnia della moglie, Anna Palmieri, pure lei condannata con sentenza passata in giudicato a dieci anni di reclusione per smercio di stupefacenti. “Micetto” – così lo chiamano – non si è pentito solo per convenienza ma pure con convinzione visto che accusa tutti i suoi familiari. Figlio di Fioravante Abbruzzese, conosciuto come “banana”, condannato a 25 anni di galera per omicidio nell’ambito del maxiprocesso “Timpone rosso”, il collaboratore di giustizia ha pure due fratelli costretti a scontare pene definitive: Armando, 25 anni e Antonio 12. È lui, tuttavia, a parlare degli affari della famiglia, dei rapporti mantenuti con le cosche tradizionali rette da Roberto Porcaro, con i “cugini” di Cassano e Sibari che portano lo stesso cognome ed hanno in Franco Abbruzzese, inteso come “dentuzzo” il loro capo carismatico. Il pentito parla pure d’un fratello che coltiva la passione per il canto, Franco, 46 anni, detto “A brezza” o, appunto, “il cantante”, interprete neomelodico in salsa calabrese. Ai magistrati, per lasciare il carcere e accedere al programma di protezione, è costretto a dire tutto quello che sa. E per il gruppo dei “banana” sono guai seri. «Mio fratello Luigi e mio cognato Antonio sono quelli che investono i soldi» dice ai pubblici ministeri «e comprano le grosse partite di droga. I soldi vengono gestiti da Luigi (suo fratello e capo n.d.r.) e da mio cognato che ogni settimana danno dei soldi ai miei fratelli Marco e Nicola, poi a fine mese, tolte le spese anche dei carcerati, si dividono quello che resta». La moglie, Anna, rilancia: «L’eroina a Cosenza deve essere acquistata per forza dai fratelli Banana altrimenti si rischiano ritorsioni; la cocaina e l’erba si può invece prendere anche da altre parti». La donna aggiunge pure: «Tutti i pusher che lavoravano per me e mio marito a Cosenza Vecchia, oggi continuano a spacciare per i fratelli Banana: Luigi, Nicola e Marco Abbruzzese e il cognato Antonio». La Palmieri parla dunque dei germani del coniuge senza veli lanciando accuse che si riveleranno fondamentali per far scattare due anni fa l’operazione “testa del serpente”.
“Micetto”, durante una delle sue deposizioni, lascia trapelare un pizzico di orgoglio di appartenenza: «Noi fratelli Banana» dice «abbiamo sempre camminato armati dentro Cosenza se c’era qualche cosa da fare...». Come dire: con noi c’è sempre stato poco da scherzare. E oggi lui, da “traditore”, lo ricorda a tutti.
Caricamento commenti
Commenta la notizia