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Sanità a Cosenza, 8 reni artificiali... dimenticati

Viaggio negli ospedali del Cosentino tra carenze, paradossi, ritardi, sperperi e bilanci farlocchi dell’Asp

Pazienti indotti a “emigrare”; dializzati costretti a fare persino turni notturni per sottoporsi ai trattamenti; attese infinite per gli utenti che intendono sottoporsi a esami diagnostici; mancanza di personale medico e infermieristico e di operatori di supporto: è questa l’immagine plastica d’una sanità pubblica in... codice rosso. Una sanità nella quale spiccano pure sale operatorie costruite ex novo alle falde del Pollino, attrezzate d'ogni sorta di moderno strumentario e mai entrate in funzione; e un intero reparto di dialisi, dotato di reni artificiali allestito e chiuso, invece, nel cuore del Savuto.
La storia dei servizi e delle strutture sanitarie nella nostra provincia è costellata di sperperi e contraddizioni. E non solo: perchè il comparto è afflitto anche da un problema di non poco conto riguardante la disponibilità economica dell'Asp – la più grande della regione – che ha dei bilanci valutati dalla magistratura completamente falsi. Documenti finanziari alterati che non hanno consentito la successiva approvazione dei conti consuntivi e preventivi riferibili agli ultimi tre anni. Insomma, un disastro che pende come una spada di Damocle sul lavoro di pur bravi commissari gestionali, camici bianchi, funzionari e operatori amministrativi impegnati nei reparti ospedalieri, nei servizi ambulatoriali e negli uffici sparsi sul territorio. Solo grazie al commissario Vincenzo La Regina verrà approvato nelle prossime settimane il bilancio aziendale riferito al 2020. L’unico “verificabile” perché i precedenti, dal 2015 in avanti, risultano degli oggetti sconosciuti e metterci mano sarebbe come prendersi cura di un abbondante quantitativo di nitroglicerina.
A questo già complesso contesto devono aggiungersi la parziale chiusura e la riconversione di molti presidi ospedalieri che svolgevano funzioni cruciali di assistenza a larghe fette di popolazione. È paradossale, per esempio, quanto accaduto al reparto dialisi dell'ospedale “Santa Barbara” di Rogliano. Corsie moderne e intonse, camere pulite e perfette e ben otto reni artificiali abbandonati all'interno della struttura. Il reparto è ormai chiuso da tempo. Il sindaco di Rogliano, Giovanni Altomare, sottolinea con il solito garbo istituzionale che lo contraddistingue: «è davvero un peccato che questa struttura non sia in attività considerato che i dializzati sono costretti a fare doppi turni, a volte persino notturni, per potersi sottoporre a dialisi a Cosenza. Tra l'altro» aggiunge il primo cittadino «il reparto non è utilizzabile per funzioni diverse». Come dargli torto?
A Castrovillari, invece, come già accennato, ci sono quattro sale operatorie costruite e mai aperte, costate sei milioni di euro. La cosa tragicomica è che sono state persino inaugurate, con tanto di taglio del nastro, da due diversi governatori della regione di estrazioni politiche differenti. Come dire: si tratta di sale operatorie...bipartisan. Che fine faranno? Forse, a breve, potrebbero arrivare finalmente delle risposte. Almeno si spera...
E se le aree del Savuto e del Pollino piangono, quella ionica non ride. A Cariati, per esempio, c'era un ospedale con 100 posti letto e reparti efficienti di cui non è rimasto nulla. È stato ridimensionato e riconvertito in struttura ambulatoriale. Non è andata meglio a Trebisacce, dove s’è seguito il medesimo andazzo: nel senso che l'ospedale, per decenni avamposto di assistenza e soccorso per l'intera zona ionica settentrionale, è stato quasi totalmente ridimensionato nonostante le proteste continue dei cittadini e dei rappresentanti istituzionali locali. Oggi è una residenza sanitaria, con pronto soccorso e reparto dialisi. Un tempo contava su ben 80 posti letto e ogni specialistica.
E lo stesso è accaduto nell'Esaro con il presidio di San Marco Argentano e, in questo caso, con un'aggravante: nel 2010 furono stanziati 8 milioni e mezzo per rimetterlo in piedi ma nessuno li ha mai spesi. Il sindaco, Virginia Mariotti e il primo cittadino di Roggiano Gravina, Salvatore De Maio, sono scesi in piazza più volte con i cittadini per reclamare spiegazioni e interventi.
Lungo la fascia tirrenica un altro scandaloso esempio di come siano stati dilapidati piccoli tesori della sanità pubblica è rappresentato dal nosocomio di Praia a Mare, un struttura efficiente e moderna ridimensionata a tal punto da spingere il sindaco, Antonio Pratticò, a fare ricorso al Consiglio di stato per chiederne la riapertura. Un ricorso accolto dai giudici amministrativi ma rimasto inefficace. A pochi chilometri sorge l'ospedale di Scalea, costruito e mai adoperato, se non in minima parte, diventato l'icona dello sperpero e della inettitudine.
Nell'area albanese della provincia svetta invece il presidio di Lungro, con decine di posti letto rimasti chiusi per effetto delle tristemente note riconversioni e oggi assolutamente sottoutilizzato. Un “gioiello” dimenticato, che per la popolazione dell’enclave arberesche (e non solo) rappresenterebbe, al contrario, un sicuro approdo di cure in caso di immediata necessità.

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