Ergastolane. Tre donne stanno scontando il carcere a vita in Calabria: una è Rosaria Mancuso, 66 anni, nipote del capobastone Luigi, figura storica dell’omonimo clan di Limbadi, condannata in primo grado dalla Corte di assise di Catanzaro come mandante dell’omicidio del biologo Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba nel piccolo centro del vibonese nell’aprile del 2018; l’altra è Giuseppina Iacopetta, di Stefanaconi, moglie del defunto boss Nato Patania, assassinato nel suo paese di origine nel settembre 2011 e ritenuta ispiratrice di un omicidio e due tentati omicidi compiuti per vendicare la morte del coniuge. Si tratta dell’agguato mortale teso a Francesco Scrugli e del mancato omicidio di Raffaele Moscato e Rosario Battaglia. I tre erano tutti esponenti della cosca mafiosa dei cosiddetti “piscopisani”. Con la donna sono stati condannati con sentenza definitiva, nell’aprile del 2019, alla massima pena prevista dal nostro ordinamento, pure i tre figli maschi Saverio, Salvatore e Giuseppe Patania. La terza ergastolana è Nella Serpa, “reggente” della omonima consorteria di Paola e ispiratrice di due assassinii. Due delitti consumati per vendicare la morte del fratello, Pietro Serpa, trucidato a colpi di pistola nel maggio del 2003 nel parcheggio di un hotel posto sulla Statale 18. “Nella la bionda” - così la chiamavano con timore e rispetto amici e nemici - è stata a lungo sottoposta al regime detentivo speciale del 41 bis e poi ritenuta con sentenza definitiva mandante delle uccisioni di Luciano Martello e Rolando Siciliano avvenute nel luglio 2003 e nel maggio 2004 a Fuscaldo e Paola. Siciliano venne rapito con una stratagemma, ucciso a colpi di pistola e successivamente tagliato a pezzi con un a motosega e gettato in mare. Nella Serpa è l’unica cosentina ad aver mai ricevuto una condanna al carcere a vita passata in giudicato. La sua “famiglia” ha sempre avuto come punto di riferimento Mario Serpa, condannato con sentenza definitiva per omicidio. E sarebbe stato proprio “Don Mario” - così emerge dalle intercettazioni contenute agli atti dell’inchiesta “Tela del ragno” - a dire: “il capo dev'essere Nella”. Con la cugina, fedele ed efficiente. il boss avrebbe sempre mantenuto, infatti, un rapporto privilegiato pure nel corso della lunga carcerazione. Qualcuno, sempre per ordine di Nella, tentò di far saltare in aria, a Paola, Gennaro Ditto, originario di Seminara e legato al boss Mario Scofano. L’attentato venne tentato con un'autobomba il sei agosto del 2003. L'uomo, alle 11 del mattino, mise in moto la sua Alfa Romeo 156 nel quartiere Sant'Agata di Paola senza intuire quello che sarebbe potuto accadere. Lo capì quando vide spuntare dal cofano della vettura del fumo sospetto. Per punirlo avevano deciso di regalargli una carica di tritolo che fece tuttavia cilecca. Altrimenti sarebbe stata una strage. L'esplosivo era potentissimo e tutt'intorno era pieno di negozi affollati di gente. L'innesco, per fortuna, era difettoso. Ma la storia della famiglia Serpa s'intreccia pure con altre terribili vicende. Il padre del capobastone Mario si chiamava Giovanni e venne ucciso nella notte tra il 10 e l'11 settembre del 1979. A far fuoco fu un gruppo di sicari composto da “azionisti” provenienti da Cosenza e San Lucido. Il cadavere dell’uomo venne dato alle fiamme in località "Palombara" all'interno d’ una motoape. Nella cittadina tirrenica, in quegli anni, s’era allargata la guerra tra le cosche Perna-Vitelli e Pino-Sena di Cosenza e, in tempi più recenti, lo scontro tra le cosche “confederate” del capoluogo bruzio contro il clan Bruni (alleato dei Serpa).