“Micetto” cambia versione. E spariglia le carte nel nuovo processo di appello celebrato per far luce sull’uccisione di Antonio Taranto. Il pentito della criminalità nomade, tira dentro un altro presunto colpevole al posto dell’imputato. E come l’operazione trasferendo la responsabilità da un fratello all’altro: esclude Domenico Mignolo, già condannato a 16 anni di reclusione e, dopo l’intervento della Cassazione, sottoposto a seconda verifica dibattimentale di secondo grado, e incolpa Mario Mignolo, mai indagato per il fatto di sangue. L’omicidio Taranto venne compiuto nella notte della domenica della Palme, il 3 marzo del 2015. La vittima fu raggiunta da un colpo di pistola rivelatosi fatale. Celestino Abbruzzese, dopo aver dichiarato al procuratore Camillo Falvo e al pm Giuseppe Cozzolino (all’epoca applicato alla Dda di Catanzaro) il 21 maggio del 2019, che il delitto era stato «compiuto da Domenico Mignolo che era in compagnia del fratello Mario» sentito in aula, a Catanzaro, ha rettificato la propria dichiarazione precisando che l’esecutore era stato Mario e che aveva fatto fuoco da dietro una siepe posta a ridosso dell’abitazione in cui la vittima si trovava. Il collaboratore di giustizia ha inoltre aggiunto di aver riferito questi particolari ai magistrati inquirenti che però in sostanza non l’avrebbero trascritti o che, comunque, non risultano dai documenti allegati al fascicolo processuale. Il cambio di rotta ha indotto il sostituto procuratore generale, Raffaela Sforza, a chiedere la trasmissione dei verbali di udienza alla procura distrettuale di Salerno ritenendo, evidentemente, le affermazioni di Abbruzzese lesive nei confronti dei pm Falvo e Cozzolino. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Cosenza