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Cosenza, 37 anni fa l'uccisione del direttore del carcere Sergio Cosmai. E c'è un delitto collegato...

Due delitti collegati. Sergio Cosmai venne assassinato alle 14,20 del 12 marzo 1985 a Cosenza, lungo il viale che oggi porta il suo nome. Aveva 36 anni, era padre di Rossella e la moglie, Tiziana, era al settimo mese di gravidanza: il figlioletto, Sergio, sarebbe nato due mesi dopo il delitto. Il direttore del carcere bruzio è stato ricordato, ieri, dal vicecapo del Dap, Roberto Tartaglia, venuto in Calabria per visitare il penitenziario che è intitolato al funzionario dello Stato trucidato dalla 'ndrangheta.
Filippo Salsone, 40 anni,  maresciallo capo della Polizia penitenziaria, cadde vittima di un agguato mafioso un anno dopo,  nel 1986, in contrada Razzà di Brancaleone. Aveva appena lasciato l’abitazione dei genitori cui s'era recato a far visita. Il sottufficiale venne massacrato a colpi di fucile calibro 12 e 16 caricati a lupara e finito con una pistolettata alla testa.  Salsone era stato per lungo tempo il braccio destro del direttore Cosmai. Il poliziotto e il funzionario avevano osato imporre ai carcerati il rispetto di regole ferree. E la scelta costò loro la vita. L’uccisione del direttore fu opera dei fratelli Dario e Nicola Notargiacomo e Giuseppe e Stefano Bartolomeo, che agirono nell’interesse di una frangia della criminalità organizzata cosentina guidata dall'irriducibile  padrino Franco Perna. Dopo l’eliminazione di Cosmai, tuttavia, il gruppo diretto da Franco Pino e Antonio Sena, che rappresentava la storica fazione concorrente, decise di pareggiare i conti. Come? Facendo ammazzare il più fidato collaboratore del direttore del penitenziario. A svelare il retroscena è l'ex capobastone Pino che, dal 1995, collabora con la giustizia. “Dirigevano il carcere Cosmai e questo maresciallo Salsone e, pertanto, fu deciso di colpirlo" – ha confessato il pentito – "per favorire la pace tra i gruppi di Cosenza”. Insomma nell’attacco allo Stato i clan, un tempo rivali, decisero di dividersi equamente le responsabilità.
Nell’agguato a Salsone rimase ferito pure il figlio di appena dieci anni. «Il giorno dell’omicidio» ha rivelato ancora Pino «io ero recluso nel carcere di Palmi e appresi la notizia alle sei del mattino dal giornale radio».
Gli esecutori materiali del delitto Cosmai così come quelli dell'omicidio Salsone sono rimasti impuniti. Nel primo caso i fratelli Bartolomeo ed i Notargiacomo condannati all'ergastolo in primo grado hanno poi incassato in appello un'assoluzione successivamente passata in giudicato. Per "aggiustare" il processo di secondo grado e farli uscire dai guai - hanno raccontato numerosi pentiti delle cosche bruzie - venne investita una ingente somma di denaro: 70 milioni di lire. In tasca di chi finirono? Nessuno l'ha mai scoperto.
I sicari incaricati invece di uccidere il maresciallo Salsone non sono mai stati identificati. L'ex boss Franco Pino ha rivelato ai magistrati dellle Dda di Catanzaro e di Reggio Calabria che si trattava di "azionisti" della Locride dei quali, però, non conosceva i nomi. La ragione? Non aveva trattato direttamente la vicenda perché all'epoca era costretto a marcire dietro le sbarre.

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