Vittime “collaterali”. Uomini e donne uccisi per errore. Persone che non appartenevano a gruppi mafiosi, divenute vittime incolpevoli di scontri tra clan e faide familiari. Si tratta di “caduti” spesse volte dimenticati e dei quali coltivano il ricordo solo i congiunti. L’elenco è lungo e comprende quattro cosentini: Antonio Maiorano, ammazzato il 21 luglio del 2004, davanti allo stadio di Paola mentre stava leggendo la “Gazzetta del Sud” e Fazio Cirolla, ucciso nel luglio di due anni dopo, in una rivendita di pezzi di ricambio a Cassano, davanti agli occhi del figlioletto. Il primo fu scambiato per il boss Giuliano Serpa, l’altro assassinato al posto dell’allora contabile della cosca Forastefano, Salvatore Lione. A loro si aggiunge Francesco Salerni, 40 anni, agricoltore di Altomonte, ammazzato a colpi di kalashinkov in contrada “Le Sorgenti” di Cassano davanti all’abitazione dei boss Antonio e Vincenzo Forastefano il 24 ottobre del 2002. I killer volevano uccidere i due malavitosi e centrarono lui. Infine, Salvatore Altomare, che, invece, era tornato nella sua città natale, Cosenza, per organizzare la cerimonia di Prima comunione della figlia. Faceva il custode in un museo a Venezia, ma la Calabria gli era rimasta nel cuore. Quel giorno di giugno del 1981 due assassini prezzolati avevano il compito di eliminare Carlo Rotundo, il “contabile” del potente clan mafioso Perna. Raggiunsero l’obiettivo e fecero fuoco, centrando la vittima designata ma pure Altomare che non c’entrava nulla.
Le storie di questi quattro uomini s’incrociano tragicamente con quelle di tanti altri “sfortunati” finiti sotto il piombo di killer spietati. È il caso di Pino Borrello, giovane studente universitario di Palmi, ammazzato una sera di dicembre del 1987 nella cittadina tirrenica del Reggino perché scambiato per un commerciante coinvolto nella faida all’epoca in corso tra le famiglie Condello e Gallico.
Maria Giovanna Elia, 37 anni, invece il 26 luglio del 1973 era affacciata al balcone di casa a Crotone. Per strada scoppiò uno scontro a fuoco tra esponenti delle famiglie Vrenna e Feudale che si fronteggiavano in una faida. Da un lato e dall’altro si fece largo uso di pistole e fucili caricati a pallettoni. Il numero dei colpi esplosi fu impressionante e l’obiettivo dell’azione criminale condotta dai Vrenna era Antonio Feudale, 39 anni, fruttivendolo. L’uomo, però, scampò all’agguato e ci rimise la vita la povera trentasettenne richiamata sul balcone dagli spari.
Ferdinando Chiarotti, invece, che non era un boss è morto a Strongoli, in un giorno d’inverno, mentre se ne stava seduto su una panchina. Stava annusando il vento freddo che arrivava dal mare quando un proiettile di kalashnikov non gli diede il tempo di lanciare un urlo di dolore. I sicari mandati a compiere una strage di mafia, il 26 febbraio del 2000, spararono troppo ammazzando pure lui.
Francesco Scerbo aveva 29 anni e faceva il volontario per l’Unitalsi. È stato assassinato il due marzo del 2000 in un bar pizzeria di Isola Capo Rizzuto. Il sicario entrato per far fuori il trentanovenne Franco Arena dell’omonima famiglia mafiosa, se l’è ritrovò sulla linea di fuoco e non lo risparmiò. Infine Mariangela Ansalone, 9 anni, e il nonno Giuseppe Bicchieri, trucidati a Oppido Mamertina l’8 maggio del 1998. Viaggiavano su una Fiat Croma e i killer impegnati nella faida tra i Polimeni e i Gugliotta scambiarono l’auto per quella di uno dei Polimeni. Per Nonno e nipotina non vi fu scampo.
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