Palazzi, anche molto importanti, con una storia di decine di anni sulle loro spalle, deturpati da fili e altri interventi murari. È uno dei numerosi problemi della città vecchia. Denunciato, segnalato, da alcuni residenti, anche alla Soprintendenza, senza che però si risolvesse nulla. Sott’accusa in particolare le aziende che forniscono servizi e che attaccano cavi telefonici ed elettrici, le centraline per la fibra. «I cavi telefonici», affermano due noti accademici, John Trumper e Marta Maddalon, «vengono posizionati senza alcun criterio, danneggiando manufatti artistici di grande pregio, magari appena restaurati con grande fatica dai proprietari. Ovviamente, a cose fatte, non è facile e anzi nemmeno possibile, tornare indietro, così come chiedere la rimozione o un posizionamento meno dannoso». Gli interlocutori istituzionali, come detto, sono sordi e le imprese a cui i lavori vengono appaltati non possono e non vogliono essere chiamati in causa. Almeno così sembra stando a quanto sostengono i residenti. Restano - resterebbero - coloro i quali hanno il compito di sorvegliare e sovrintendere al rispetto del patrimonio artistico di Cosenza ma, anch’essi, dopo che i danni sono stati fatti, poco possono fare. «In questo clima di impotenza generalizzata e di sconforto per l’assenza di mezzi per invertire il modo di vivere questa città», aggiungono Trumper e Maddalon, che vivono nel palazzo dal 2001 e sono proprietari di una parte di esso, «possiamo solo sperare che ci sia uno spazio per preporre dei controlli reali. Nell’illegalità autorizzata, tra allacci volanti abusivi, opere fatte senza un progetto, tutti finiamo per accettare qualsiasi cosa, o pensare che possiamo fare qualsiasi cosa. L’opposto della civiltà». Nel palazzo di cui parlano nello specifico Trumper e Maddalon, che si sono sempre adoperati per la sua salvaguardia, un po’ l’emblema di questa storia, l’arco e i busti sono stati restaurati a carico dei proprietari mentre le facciate sono oggetto di un intervento con le ultime modalità governative. L’edificio in questione è quello storico dei Tarsia, che s’affaccia su lungo Crati e su via Gaeta. Uno dei palazzi più importanti della nostra città. Fili e tubi “corrono” indisturbati sulle pareti. Sulle facciate. Uno scempio che comunque è facilmente riscontrabile nella parte vecchia del capoluogo. Addirittura anche sulla sede della Soprintendenza. Incuria e mancato controllo di beni pubblici e privati di interesse storico-artistico. Chissà che con i soldi del Cis o con quelli di Agenzia Urbana prossimamente si possa mettere mano anche su questa situazione.