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Cosenza, quando le donne sono protagoniste di sanguinosi crimini

Delitti al femminile. Compiuti da donne non aduse alla violenza, di età differente e divenute assassine a causa di gravi disagi familiari, incomprensioni coniugali, contrasti apparentemente insanabili. La tragica lite culminata nella morte del pensionato Rocco Gioffrè, ha tristi precedenti nell’Alta Calabria. Altre donne, prima di Tiziana Mirabelli, hanno ucciso per ragioni diverse congiunti o partner.
Facciamo un salto all’indietro, tornando alla afosa estate di 22 anni fa. È il luglio del 2001, quando Elena Pucci, 62 anni, ammazza il marito, Antonio Mucci, a conclusione dell’ennesimo litigio scoppiato tra le mura domestiche. Scena del crimine è un appartamento del quartiere cosentino di San Vito. La sessantaduenne colpisce il coniuge con due coltellate vibrate al torace e all’addome. L’uomo stramazza al suolo, in un lago di sangue. Lei chiama la sala operativa della Questura e si consegna agli agenti della squadra volante. Ammette le proprie responsabilità e consegna l’arma - un coltello da cucina - usata per consumare l’omicidio.

Passa meno di un anno e dall’altra parte della provincia, ad Aiello Calabro, una pensionata ed ex farmacista uccide la nuora. Siamo nell'aprile del 2002 quando Assunta Baeli, 75 anni, a lungo titolare di una farmacia nella cittadina calabrese, spara dei colpi di arma da fuoco contro la nuora, Maria Rubino, che aveva appena deciso di lasciare il figlio con cui era sposata da tre anni. L’ex farmacista viene subito fermata dai carabinieri e confessa. L'omicidio è stato consumato usando un fucile da caccia che sarà sequestrato dagli investigatori.
Passa un altro anno e, nell'agosto del 2003, Maria Durante, 56 anni, operaia, ammazza ad Acri l'anziano marito, Francesco Piluso, sferrandogli una coltellata al fianco destro. La coppia viveva separata ormai da tempo. L'uxoricida, subito bloccata dai carabinieri, ammette la paternità dell’assassinio.

Trascorrono nove anni e non accade più nulla fino a quando Domenica Rugiano, casalinga di Villapiana, il 27 aprile del 2012 massacra a fucilate il marito Vincenzo Genovese e la figlia Rosa: le due vittime hanno rispettivamente 67 e 27 anni. La donna usa un’arma tenuta in casa per allontanare le volpi che minacciano il pollaio posto davanti all’aia. La villetta teatro del duplice omicidio sorge alla periferia della cittadina dell’Alto Ionio cosentino, in contrada “Ficara del Rosario”. La pluriomicida, dopo la mattanza, tenta di togliersi senza successo la vita. Viene trovata riversa sul letto, immersa nel sangue, sdraiata accanto alla figlia. Ad accorgersi del crimine è un cercatore di origano insospettito dallo strano silenzio che circonda l’immobile. La casalinga ha rivolto il fucile contro di sé riuscendo però a ferirsi solo ad una gamba. Poi è rimasta per ore sdraiata sul letto nella speranza di morire dissanguata. Confesserà la paternità del crimine solo nelle ore successive all’intervento dei carabinieri. Sottoposta a perizia psichiatrica sarà giudicata capace d’intendere e di volere e condannata in primo grado all’ergastolo.

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