I "padroni" della costa. Trentasette persone sono state raggiunte da ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip distrettuale di Catanzaro, Giuseppe De Salvatore, su richiesta del procuratore Nicola Gratteri, dell'aggiunto Vincenzo Capomolla e del pm antimafia Romano Gallo. Diciotto le persone finite in carcere (alle altre applicati gli arresti domiciliari o l'obbligo di dimora) con l'accusa di far parte di un'associazione mafiosa riconducibile ai clan Tundis e Calabria attivi nell'area compresa tra Paola, Belmonte, San Lucido e Longobardi. In tutto gli indagati sono 46.
I nomi degli arrestati
In carcere:
Andrea Alò; Gianluca Arlia; Luciano Bruno; Fabio Calabria; Giuseppe Calabria; Pietro Calabria; Salvatore Caruso; Michele Iannelli; Giuseppe La Rosa; Eugenio Logatto; Mario Maiolo; Marco Manfredi; Gabriele Molinaro; Roberto Porcaro; Andrea Tundis; Emanuele Tundis; Michele Tundis; Pamela Villecco.
Ai domiciliari:
Raffaele Conforti; Paolo D'Amato; Giovanni Fiore; Giovanni Garofalo; Vincenzo Nesci; Cristian Vommaro; Francesco Serpa.
Obbligo di dimora o presentazione alla Pg:
Gianluca Ambrosi; Andrea Santoro; Claudio Santoro; Alessandro Serpa; Eugenio Filippo; Albino Sammarco; Vincenzo Senatore; Giovanni Vattimo; Luca Marincola Vommaro.
Divieto di dimora a Paola e San Lucido:
Francesco Lenti.
Interdetti dall'esercizio dell'attività imprenditoriale:
Francesco Loizzo (già direttore sportivo della Paolana) e Sestino Vulnera.
Il ruolo del pentito Porcaro
Tra le persone coinvolte nell'operazione condotta dai carabinieri figura il boss pentito di Cosenza Roberto Porcaro. L'ex esponente di punta delle cosche "confederate" operanti tra Cosenza e Rende collabora con i magistrati antimafia da più di un mese e manteneva rapporti con i gruppi Tundis e Calabria. Porcaro, le cui dichiarazioni non sono contenute negli atti dell'inchiesta notificati stamane, avrebbe mantenuto solidi e stabili rapporti con le due consorterie Tundis e Calabria operanti lungo la fascia costiera compresa tra Paola e San Lucido.
I reati contestati
I provvedimenti restrittivi sono stati eseguiti dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza, coordinati dal colonnello Agatino Saverio Spoto e le indagini condotte dagli investigatori della compagnia di Paola. I delitti contestati sono l'associazione mafiosa, l'estorsione, la tentata estorsione aggravata, il trasferimento fraudolento di valori, la detenzione e il porto di armi e il traffico di sostanze stupefacenti (cocaina, marijuana e hashish).
Il "pizzo" alle imprese
La consorteria mafiosa imponeva il pagamento del "pizzo" alle imprese impegnate nei lavori pubblici e alle aziende private che lavoravano nel settore dell'edilizia. Non solo: ai clan dovevano pagare dazio commercianti e imprenditori piccoli e grandi operanti nei settori più svariati. Al gruppo dominante dovevano inoltre rivolgersi tutti i pusher della zona, pena gravi conseguenze. Le indagini si basano su intercettazioni ambientali e telefoniche, videoriprese, pedinamenti e non hanno contato sull'apporto significativo di collaboratori di giustizia.
I dettagli dell’operazione sono emersi nel corso di una conferenza stampa tenutasi nei nuovi locali della Procura di Catanzaro, alla presenza del procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dei vertici dell'Arma. Assente per impegni istituzionali Nicola Gratteri.
Il plauso della Ferro
«Ancora un plauso ai carabinieri che con l’operazione 'Affari di famiglia' condotta dai militari del Comando provinciale di Cosenza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro hanno smantellato due clan particolarmente pericolosi e pervasivi che operavano nell’area del Tirreno cosentino e che, oltre a gestire un proficuo traffico di droga, tenevano sotto scacco le attività imprenditoriali del territorio con danneggiamenti ed attentati intimidatori a scopo estorsivo». Lo afferma il sottosegretario all’Interno Wanda Ferro (FDI), «Un’indagine particolarmente significativa - aggiunge Ferro - perché portata a termine in un contesto territoriale di scarsa collaborazione con le forze dell’ordine e per l'atteggiamento omertoso, evidenziato dagli inquirenti, di testimoni e vittime. Gli arresti di questa mattina dimostrano invece che lo Stato merita la fiducia dei cittadini. Da evidenziare l’impegno del governo e del Ministero dell’Interno rispetto alla questione sicurezza nel Tirreno cosentino, ancor più in seguito agli episodi criminali che si sono verificati negli ultimi mesi, sui quali ho sollecitato anche a nome dei colleghi parlamentari la massima attenzione della Prefettura di Cosenza e degli organismi preposti».
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