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“Storiaccia” da tenere a mente: tra richieste ignorate e giudizi affrettati la lezione dei giovani

Giù le mani dai ragazzi. Disgusto: non c'è altro vocabolo che possa abbinarsi alla storiaccia che si sta vivendo a Castrolibero. Selezionandone un altro si correrebbe il rischio di ridimensionarla. Nel Paese in cui - legittimamente - si è innocenti fino a prova contraria sono piovuti condizionali come se non esistessero certezze ma al contempo si è scatenata la caccia ai protagonisti della vicenda: il dirigente scolastico, il prof molestatore di ragazzine, le ragazzine stesse. L'onda mediatica, si sa, quando c'è da travolgere non si tira indietro. La storia è diventata di tutti. Il paese è piccolo, la gente mormora. Anche se Castrolibero così piccino, poi, non è. E il polo scolastico resta una delle strutture su cui la Provincia (poco più di 12 anni fa il taglio del nastro) ha puntato forte, non intendendolo solo come la roccaforte degli “indigeni” ma un potenziale trait d'union con i due comuni principi dell'area urbana: perché Castrolibero da un lato volge lo sguardo a Cosenza, dall'altro a Rende. Ecco perché questa storiaccia ha fatto presto a varcare i confini in cui si è sviluppata.

C'è il fatto in sé - la storiaccia, appunto - e c'è anche il luogo dove questo fatto si sta appunto sviluppando. Ecco, non sfugga il contesto: sarebbe un errore clamoroso, un'occasione di crescita persa per sempre. E non da parte dei ragazzi che - al netto delle fisiologiche frivolezze che hanno accompagnato l'occupazione messa in piedi per una giusta causa - sono saliti in cattedra al posto degli adulti mostrando loro “come si fa”. E ad ammetterlo - anche se con qualche giorno di ritardo, anche se non tutti - sono stati proprio loro: i prof. «Grazie ragazzi, ci avete impartito una lezione memorabile».

Una lezione data dai ragazzi ai grandi. Lì, in un luogo di crescita per eccellenza. Dove si dovrebbe (condizionale da sfoggiare anche qui) insegnare a vivere, a scoprire la realtà, a proiettarsi verso il futuro. Non di certo un posto dove si può rischiare di essere giudicati al di là del profitto scolastico (davvero conta l'aspetto fisico? Davvero si può pensare che una sufficienza possa passare dal “concedere” una foto o qualcosa di più a un prof?), dove ci si deve tenere alla larga dagli educatori, da chi dovrebbe illuminare il sentiero della conoscenza ai discenti. «Hanno scelto lo strumento sbagliato per manifestare il proprio dissenso», tuonavano i prof - sempre loro - all'uscita di scuola, nei primi giorni dell'occupazione. Avevano torto, perché se solo in questo modo, attraverso l'occupazione, i ragazzi hanno potuto azionare il loro megafono e ricevere l'attenzione di tutti, evidentemente la strada scelta è stata quella corretta. Hanno fatto centro: adesso li stanno ascoltando tutti. La storiaccia in sé è da brividi, ma quello che ha portato a galla deve far riflettere ancora di più sull'abisso generazionale esistente (ragazzi ed educatori, studenti e istituzioni, ecc. ecc.). Per far luce su una vicenda così ingiusta ci sono voluti anni, mentre tutto accadeva senza che nessuno (?) vedesse. Si è preferito mostrare i “gradi”, predicare calma, rinviare il problema, lasciare covare il malcontento degli studenti sotto la cenere. Si è preferito abbandonarli alla loro frustrazione. Ce l'hanno fatta da soli - i ragazzi - a portare la storiaccia alla ribalta. In altro modo nessuno li avrebbe ascoltati a fondo. Questa è la lezione che hanno impartito a tutti. E che - proprio tutti - dobbiamo imparare a memoria e a meraviglia.

 

 

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