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Rende, 300 studenti a “lezione” contro la subcultura delle cosche

L’iniziativa promossa all’Unical dal Laboratorio di Pedagogia dell’antimafia

Il rinnovato dolore. Nel giorno che segna l’inizio della primavera e la celebrazione delle vittime innocenti delle organizzazioni criminali, sono stati analizzati all’Unical per iniziativa del Laboratorio di Pedagogia dell’Antimafia, diretto da Giancarlo Costabile, i pericoli rappresentati dalla subcultura mafiosa. Pericoli che passano attraverso l’utilizzo strumentale della famiglia intesa come nucleo clanico. Un tema complesso, approfondito dal sostituto procuratore generale di Catanzaro, Marisa Manzini, che ha esaminato il ruolo delle donne nelle cosche della ’ndrangheta. L’incontro è stato seguito da oltre 300 studenti assiepati nell’aula “Solano”. «La donna vive nella mafia calabrese un ruolo attivo nella veste di “educatrice”» ha detto il magistrato «per trasmettere ai figli i disvalori mafiosi: la vendetta, l’esercizio della violenza. E per tutta la esistenza rimane tuttavia prigioniera di un mondo nel quale è costretta a essere succube dell’uomo». Il dibattito, coordinato da Costabile, si è pure concentrato sugli omicidi compiuti nel Cosentino. Nella nostra provincia alle barbare uccisioni di uomini che con coraggio si opposero allo strapotere delle cosche vanno aggiunte le cosiddette vittime “collaterali” cioè i caduti per “errore”.
Tra i fieri oppositori dei clan la memoria collettiva studentesca ha riproposto Giannino Losardo, assassinato nel giugno del 1980 alle porte di Fuscaldo, Lucio Ferrami, ucciso a Guardia Piemontese nell’ottobre dell’anno successivo, Luigi Gravina, ammazzato a Paola nel marzo 1982, Mario Dodaro, ferito a morte nel dicembre dello stesso anno a Castrolibero, Sergio Cosmai, caduto a Cosenza nel marzo del 1985.

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