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Co... senza credibilità: Ba, Sakho e Petre hanno altre “facce” ma i tifosi non ci cascano

L'Udinese degli anni '90 per un buon ventennio ha fatto giurisprudenza. E ancora oggi, anche se non con lo stesso grado di infallibilità, sale in cattedra ed è un esempio per tutti. Perché gli occhi di falco friulani ne hanno sbagliati davvero pochi. Di cosa? Giocatori provenienti dall'estero e perfettamente integrati nei meccanismi del calcio italiano. Africani, sudamericani, slavi: il patron Pozzo e la sua rete di scout ne hanno portati a iosa nel Bel paese, fallendo poche volte. Perché alle spalle c'era - c'è - un progetto, fatto di investimenti mirati e ricavi sicuri. Ma c'è modo e modo di andare a pescare all'estero. Perché se l'Udinese lo faceva - lo fa - con cognizione di causa, c'è chi salpa i mari europei e sbarca in altri continenti per... disperazione. È il caso del Cosenza che, ormai da un biennio, è costretto a sondare lidi lontani per poter rinforzare l'organico, per poter rimediare agli errori commessi a inizio stagione. Sia chiaro, dalla virtuosissima Udinese ai “lupi” di B ce ne passa, di situazioni intermedie se ne possono individuare a bizzeffe, ma ciò che deve restare è il concetto, però: progetto chiaro o disperazione (che spesso fa rima con rassegnazione). Perché dopo il nostromo Trinchera - che lo scorso anno presentò in riva al Crati elementi del “calibro” di Ba, Petre e Sakho - tanto per citarne tre - scovati in altri Paesi, quest'anno è il turno del ds Goretti. Anche lui sembra aver gettato la spugna (dopo che pure Casasola, giocatore che i rossoblù avevano in pugno, ha scelto altre destinazioni) e si sia tuffato altrove. Croazia, Kosovo e Sudamerica. Tutti rigorosamente lontani dall'Italia. E il perché lo spiegò Trinchera un paio di anni fa, guadagnandosi le spernacchiate dei tifosi rossoblù, ma solo perché il suo concetto non lo espresse fino in fondo. Quando l'attuale ds del Lecce parlava di “scarso appeal” della piazza bruzia avrebbe dovuto aggiungerne le motivazioni: non sono certo i cosentini, piazza dei Bruzi, il traffico cittadino o la latitudine a inibire i calciatori, quanto le estenuanti trattative (i rapporti tra molti procuratori e la proprietà non sono idilliaci, per usare un eufemismo) e la mancanza di progettualità a spaventare. Perché da quando il Cosenza è approdato in B, la musica non è mai cambiata e se ne sono accorti tutti. Dall'interno e dall'esterno. Cumuli di prestiti e scommesse accatastati per la stagione invernale ma pronti a imboccare la via d'uscita dopo 6 mesi di nulla (o quasi) per far spazio a nuovi prestiti e a nuove scommesse. E che il presidente Guarascio da quell'orecchio proprio non voglia sentirci è ormai chiaro a tutti, perché dopo sonore contestazioni - prima e dopo la riammissione estiva in cadetteria - i tifosi sono passati all'assenza: vedere gli spalti del “Marulla” vuoti (per il Covid, certo, ma soprattutto per l'andamento della squadra) è un colpo al cuore. I supporter rossoblù sono passati dalla rabbia all'indifferenza. Perché vivere in maniera agonica ogni singola stagione in serie B, un patrimonio inestimabile, farebbe passare la voglia anche al più inguaribile degli ottimisti, al più innamorato degli spasimanti. Cosa resta? Al momento la categoria. E la maglia. Con la speranza che i ds Goretti faccia i salti mortali sul mercato o che dal cielo qualcuno possa strizzare l'occhio al Cosenza, ancora una volta. Realisticamente, più la seconda.

 

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