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Cosenza, ecco come funziona il racket 2.0. La testimonianza di Alessio Cassano

È  Alessio Cassano, imprenditore cosentino, fondatore dell’associazione antiracket attiva nella nostra provincia, a spiegarlo

La nuova frontiera del racket. Le cosche impongono il pagamento del “pizzo” incendiando esercizi commerciali, seminando molotov, proiettili e accendini davanti ai cancelli delle imprese, minacciando gli imprenditori. Uno schema operativo classico più volte disvelato dalle inchieste della magistratura: oggi, però, usano altre “tecniche” apparentemente legali. È  Alessio Cassano, imprenditore cosentino, fondatore dell’associazione antiracket attiva nella nostra provincia, a spiegarlo.
«Sono cambiati i meccanismi delle estorsioni:  per esempio, adesso, vengono praticate le imposizioni dei fornitori, la manovalanza degli operai da utilizzare e il pagamento in tre rate della tangente. Gli imprenditori versano il dovuto a Natale, Pasqua e Ferragosto e nel frattempo sopportano tutto il resto. Per le forze dell’ordine diventa più complicato circoscrivere il reato se non c’è la collaborazione delle vittime. Provare l’estorsione quando vi è l’imposizione delle forniture dei materiali e degli opera non è semplice».
Ma è diminuito il numero delle denunce fatte alla magistratura?
« Per quanto ne sappiamo negli ultimi due anni ci sono state molte intimidazioni e molte delle vittime hanno fornito informazioni utili alle forze di polizia».
 Cassano è uno dei “coraggiosi” che ha denunciato gli “esattori” del racket. Andarono a chiedergli di pagare la “mazzetta” e Cassano non solo si rifiutò ma denunciò tutto ai carabinieri. Dopo pochi giorni i responsabili del tentativo di estorsione vennero arrestati dalla Dda di Catanzaro e successivamente rinviati a giudizio e condannati.
Perché decise di denunciare tutto? 
«Non c'era un motivo per dover pagare. Non ritengo corretto che il frutto dei sudori di un imprenditore debba andare a questi parassiti»
Ebbe paura momenti di scoraggiamento, si pentì di quello che aveva fatto?
«Assolutamente no.  Certo provai paura quando mi minacciarono di morte. Però, sin da subito ho sposato la causa della rete antiracket consigliando agli altri di denunciare perché la strada della denuncia è l’unica via che consente di rimanere imprenditori e persone libere».
Dalla sua esperienza e di altre vittime delle estorsioni compiute nell’area urbana, è nata l'associazione antiracket “Lucio Ferrami”.
«Sono uno degli 11 soci fondatori e l'esperienza dell'associazione ebbe inizio subito dopo la mia denuncia e iniziò un percorso di aggregazione e formazione. Si avvertiva la necessità di avere un'associazione presente in città per offrire sponda e sostegno alle altre vittime».
Siete in rete con altre organizzazioni?
«Con le associazioni antiracket di Lamezia, Polistena e Cittanova. Partiranno sportelli antiracket a Cosenza, Lamezia e Polistena, Il progetto, sostenuto da un Pon sicurezza, prevede pure uno sportello ambulante destinato a raggiungere ogni centro della regione».
Ma perché intitolare l’associazione cosentina a Lucio Ferrami?
«Perché fu il primo a ribellarsi, a denunciare gli estorsori e ad accusarli in Tribunale. Gli dissero che l’avrebbero ucciso e l’hanno fatto. Lui, all’epoca, era solo. Oggi nessuno viene più lasciato solo».

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