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Sangue infetto,
risarcimento dopo
48 anni

  Il dolore non ha tempo. Sopravvive agli uomini e alle cose apparendo spesso incancellabile. La scena giudiziaria regionale ce ne offre dimostrazione con una sentenza emessa 48 anni dopo la tragedia che investì la vita di una ventinovenne cosentina. In un giorno di maggio del 1965 la vittima- protagonista della storia che stiamo per raccontarvi entrò nel reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Cosenza per partorire. Il bimbo che portava in grembo spingeva per venire al mondo e la puerpera voleva farlo nascere. C’era però un problema: la partoriente soffriva di una grave forma di anemia e venne perciò deciso di sottoporla a trasfusione. Ricevette pertanto del sangue che, purtroppo, era infetto. Conteneva un killer silente che, in breve tempo, avrebbe portato la sfortunata ventinovenne alla morte per il manifestarsi di un epatocarcinoma. Ora, dopo quasi mezzo secolo, il Tribunale civile del capoluogo di regione ha condannato l’azienda provinciale di Cosenza e la Regione Calabria al pagamento di una cifra a cinque zeri come risarcimento dei danni subiti dai parenti della paziente deceduta. I giudici hanno accolto le conclusioni e le richieste formulate dal legale dei familiari della vittima, l’avv. Massimiliano Coppa, escludendo tuttavia la solidarietà coloposa del Ministero della Salute perché non era ancora entrata in vigore la legge 592/1967, che impone all’Ente erariale centrale, chiamato in giudizio, la vigilanza ed il compito di emanare direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento e il coordinamento dei servizi, la raccolta, la preparazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale. Il Tribunale, però, nonostante siano trascorsi cinquant’anni, non ha ritenuto esenti da censura per le loro condotte, i cosiddetti Enti erariali periferici come l’Asp di Cosenza e la Regione Calabria che, si legge in sentenza, «Non hanno dato dimostrazione del corretto adempimento delle obbligazioni gravanti sulla struttura sanitaria in cui fu ricoverata la paziente deceduta. Struttura responsabile per i danni a lei derivati ». Ma non basta. Ancor più innovativo appare il parametro stabilito dal Tribunale laddove, individuando il ritardo colpevole nell’adempimento dell’obbliga - zione imposta sia all’Asp cosentina che alla Regione, ha ritenuto di dover ulteriormente condannare, a titolo di mora, gli Enti erariali periferici al pagamento degli interessi legali sulla somma a partire dal giorno del fatto illecito, individuabile nel maggio del 1965, fino alla data di deposito della sentenza avvenuto dopo 48 anni. Insomma, pur dopo tantissimo tempo, i familiari della sfortunata puerpera hanno ottenuto almeno il risarcimento dei danni. Questo il commento dell’avvoca - to Coppa: «È una sentenza giusta per parametro di danno e decorrenza dei tempi. L’impianto motivazionale è ineccepibile in punto di diritto, perché ripercorre tutto l’iter legislativo dal 1967 ad oggi. Rimane l’amarezza della conferma di una tragedia umana senza misura che nessuna tutela risarcitoria potrà mai colmare».

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