Due boss e un tradimento. Consumato in perfetto stile mafioso. La scomparsa di Luca Bruni, 37 anni, “reggente” dell’omonimo gruppo dopo la morte prematura (dovuta a malattia) del fratello Michele, sarebbe frutto d’un inganno. Ordito per tarpare le ali al boss in ascesa, tornato in libertà dopo sette anni di reclusione scontati in Puglia. È stato il pentito Pierluigi Terrazzano a rivelarlo al pm antimafia Pierpaolo Bruni. Il collaboratore ha raccontato che l’uomo, scomparso per lupara bianca il tre gennaio del 2012, venne convocato ad un appuntamento da Ettore Lanzino e Franco Presta, padrini temuti e riveriti della criminalità bruzia, per concordare delle strategie. Bruni venne accompagnato nel luogo dell’incontro da una persona di cui si fidava e che l'avrebbe tradito. Una persona con cui si vide nel parcheggio dove è stata poi ritrovata la Bmw X3 con cui lo scomparso soleva spostarsi. Insomma, cadde in una trappola mortale, finendo ucciso a colpi di pistola e poi sepolto tra i boschi silani. La Sila è da sempre il “cimitero della ‘ndrangheta”. Tra i boschi dell’altopiano le cosche sia cosentine che crotonesi fanno sparire i resti delle vittime della lupara bianca. Le dichiarazioni di Terrazzano, che ha deciso di “cantare” perché temeva di essere ucciso dopo essere stato arrestato dai carabinieri per una rapina compiuta a Montalto Uffugo, sono ovviamente al momento prive di riscontri. I soggetti a cui fa riferimento il pentito devono pertanto essere considerati innocenti fino a prova contraria. Il cadavere di Luca Bruni, peraltro, non è stato ritrovato anche perché la “gola profonda” non conosce il luogo dove sarebbe stato sepolto.
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