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Pressioni su pentiti
e testimoni d’accusa

Il tuttologo. Estorsioni, prestiti privati, testimonianze aggiustate, omicidi, mappe delle gerarchie criminali: Roberto Violetta Calabrese, l’ultimo pentito prodotto dalla criminalità organizzata bruzia s’è occupato d’ogni genere crimine. Direttamente o indirettamente Non ha mai ucciso ma ha saputo come si faceva da fior di “azionisti”; ha chiuso “contratti” per polizze estorsive, mediato con imprenditori, dato soldi a strozzo e persino avvicinato vittime di reati affinché riconsiderassero le dichiarazioni rilasciate alle forze dell’ordine contro boss e picciotti. È stato lui a raccontarlo al pm antimafia Pierpaolo Bruni che ieri, davanti al gup catanzarese Gabriella Reillo, ha depositato tre verbali d’interrogatorio ricchi di illuminanti confessioni. Il collaboratore di giustizia ha indicato i nomi dei presunti esecutori degli omicidi di Antonio Sena e Antonio Sassone, avvenuti rispettivamente a Castrolibero e Terranova da Sibari, di Enzo Pelazza e Vittorio Marchio compiuti a Carolei e Cosenza. Ha indicato i “reggenti”dei clan del capoluogo bruzio e di Rende tirando pesantemente in ballo Francesco Patitucci ritenuto dalla Dda di Catanzaro l’«esattore» della ‘ndrangheta. Non solo. Calabrese ha pure rivelato l’identità degli attentatori che, appena diffusasi la notizia del suo pentimento, hanno sparato contro il solarium gestito a Cosenza dal fratello. Un gesto ritorsivo posto in essere, due settimane addietro, per indurlo a ritrattare. Ma le confessioni del quarantanovenne appaiono pure utili a capire certe dinamiche del tessuto economico locale. Roberto Calabrese, infatti, non solo racconta di aver «chiuso estorsioni a 30.000 euro » ma aggiunge pure d’aver svolto, in talune occasioni, anche il ruolo di “mediatore” tra le cosche e le vittime del racket. Il pentito racconta d’essere intervenuto per conto del titolare di una concessionaria di auto di Rende (del quale fornisce il nome) per ridurre la quota di “mazzetta” che questi era stato obbligato a versare alle cosche. Insomma, il collaboratore conferma appieno l’esistenza di un sistema di tassazione alternativo a quello dello Stato e di una forma di giustizia arbitrale esercitata da soggetti investiti di un’autorità derivante esclusivamente dalla loro capacità di esercitare la violenza. Una capacità d’intervento –quella dei mafiosi – mostrata da Calabrese in due distinte occasioni per raggiungere l’obiettivo di depotenziare gravi dichiarazioni accusatorie rilasciate contro uomini dei clan. L’odierno pentito, infatti, ha ammesso di aver fatto pressioni, negli anni scorsi, su un testimone che accusava d’usura il “reggente” della cosca Lanzino e, ancor prima, di aver raggiunto fuori dalla Calabria un pentito che aveva accusato malavitosi e professionisti di praticare lo strozzinaggio. Due “aggiustamenti” fatti per tutelare persone e interessi a dimostrazione di quanto forte e incisivo sia il potere degli “uomini di rispetto” in tutta la Calabria. I verbali d’interrogatorio del pentito sono stati depositati nell’ambito del procedimento “Terminator 4”che ricostruisce fatti di sangue avvenuti nel Cosentino tra il 2000 e il 2001. Ne hanno preso visione gli avvocati Luca Acciardi, Gianluca Garritano, Marcello Manna, Antonio Ingrosso, Angelo Pugliese, Franco Locco, Lucio Esbardo, Cesare Badolato, Giuseppe Perri, Filippo Cinnante e Pippo Malvasi. Si torna in aula il 5 aprile con le deposizioni del pentito Francesco Amodio e della ex “dichiarante” Angela Presta. Poi la requisitoria del pm Pierpaolo Bruni.

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