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Cosenza, la giustizia
amministrata dai boss

La “bacinella” e l’usura. Le cosche reimpiegano i loro capitali anche nei prestiti privati. Finanziano imprenditori in difficoltà con il denaro ricavato dalle estorsioni e dal traffico di droga. Una parte dei soldi custoditi nella cassa comune (la “bacinella”) finiscono dunque nelle tasche di costruttori in crisi di liquidità che diventano così “obbligati” nei confronti dei boss. Il meccanismo è stritolante, nel senso che il beneficiario della sovvenzione se insolvente rischia di vedersi i picciotti in pianta stabile in azienda, oppure di dover cedere, per far fronte al debito, quote societarie a teste di legno indicate dai padrini. A svelare il meccanismo al pm antimafia Pierpaolo Bruni è stato uno “specialista” del settore, Roberto Violetta Calabrese, 49 anni, l’ultimo picciotto fuoriuscito dalle file della criminalità organizzata cosentina. Il malavitoso pentito ha raccontato al magistrato la controversa vicenda di cui è stato direttamente protagonista e che ha visto come vittima dell’usura mafiosa un costruttore edile impegnato a realizzare un palazzo nel quartiere bruzio di via  Popilia. Calabrese ha chiarito come l’uomo sia stato finanziato con soldi della “bacinella” per almeno 50.000 euro e poi, privatamente, anche da altri esponenti della criminalità organizzata tanto da essersi poi ritrovato contemporaneamente debitore di due diversi boss. Questi ultimi, per spremerlo a dovere, hanno successivamente concordato la tempistica delle riscossione di capitale e interessi in modo da non lasciargli scampo. Ma c’è di più. Il collaboratore di giustizia – le dichiarazioni cui facciamo riferimento risalgono ad appena una settimana addietro – ha svelato al pm della Dda di Catanzaro come la ‘ndrangheta eserciti privatamente giustizia pure nell’area settentrionale della Calabria. La “gola profonda” ha riferito di un imprenditore che entrato in contrasto con un collega di lavoro ha chiesto la mediazione d’un “mammasantissima” per appianare la questione. Il “mediatore” con la pistola alla cintola ha rimesso a posto le cose evitando guai futuri e possibili interventi dell’autorità giudiziaria. Il collaboratore di giustizia, che ha deciso di vuotare il sacco perché temeva di fare una brutta fine, si è presentato tre settimane addietro dai carabinieri chiedendo di parlare con un magistrato. Ottenuta udienza s’è trasformato in un fiume in piena. Calabrese ha parlato anche di fatti di sangue, in particolare della scomnparsa per lupara bianca di Luca Bruni, “reggente” dell’omonima famiglia, avvenuta nel gennaio del 2012, e dell’agguato costato la vita, nel luglio del 2002, al “contabile” delle cosche, Carmine Pezzulli. Il pentito ha addebitato la sparizione di Bruni ai boss Ettore Lanzino e Franco Presta, e l’assassinio di Pezzulli al padrino Domenico Cicero e al presunto killer Davide Aiello. L’ex malavitoso ha pure disegnato la mappa dello smercio della droga a Cosenza e Rende, indicando la rigida divisione del mercato dell’eroina e della cocaina. La prima venduta in accordo con la criminalità nomade, l’altra di esclusiva pertinenza della ‘ndrangheta.

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