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La ’ndrangheta e gli
affari del cemento

Cemento, mattoni e pallottole: l’impasto prediletto dalla mafia. Come accadde con Cosa nostra negli anni ‘70 e ‘80 in Sicilia, le cosche della ‘ndrangheta si sono lanciate nel mondo delle costruzioni. Non c’è però un “don” Vito Ciancimino a garantirli, ma un reticolo di insospettabili società a capitale criminale nelle quali viene “lavato” tanto denaro di provenienza illecita. È il pentito Roberto Violetta Calabrese, 49 anni, ultimo picciotto in fuga dalla criminalità bruzia, ad averlo rivelato al pm distrettuale Pierpaolo Bruni. L’interrogatorio reso dal collaboratore di giustizia è del venti marzo scorso. Il contenuto lascia senza parole. Calabrese e un noto boss delle ‘ndrine del Crati erano entrati in società in una società di costruzioni spiantando, di fatto, il reale proprietario dell’impresa, rimasto impigliato nelle secche d’ingenti debiti. «Io conferii capitali –confessa Calabrese –diretta - mente diventando socio dell’azienda». Il boss tirato in ballo, invece, utilizzò l’espediente di un fittizio conferimento di capitali attraverso l’ultizzo di un conto corrente intestato a un calciatore di serie A per assicurare all’imprenditore in gravi difficoltà economiche un prestito usurario. «La provvista di 60.000 euro proveniva – aggiunge Calabrese – da un conto acceso presso un istituto bancario di Rende». Il pentito indica il nome del presunto “cravattaro” e dell’atleta sui quali è probabile che la procura antimafia, diretta da Antonio Vincenzo Lombardo, stia svolgendo indagini. Come emerso in occasione di altre inchieste condotte in questi anni, gli esponenti della criminalità organizzata avrebbero approfittato della debolezza finanziaria del titolare dell’impresa per impossessarsene e ottenere l’utilizzo di appartamenti. Ma c’è di più. Roberto Violetta Calabrese descrive agli investigatori del Ros (guidati dal tenente colonnello Cosimo Picciolo) pure il sistema estorsivo che condiziona l’economia bruzia. Parla, infatti, dei suoi interventi operati presso i capibastone più influenti al fine di dilazionare il pagamento del “pizzo” imposto ai titolari di due concessionarie di auto. «I proprietari mi chiesero d’intercedere affinché venisse dilazionato il pagamento della somma periodica annuale da versare. Volevano spostarla dagli inizi di dicembre alla fine di dicembre». Non solo. Il pentito racconta di comele cosche dominanti cosentine e rendesi si attivarono per ottenere il pagamento di tangenti anche dal titolare di un call center. E, ancora, di come i boss si misero in movimento per ottenere la dazione di somme pure da imprenditori che gestivano i videopoker. Il quadro che emerge ricorda il titolo d’un film di Francesco Rosi: “Le mani sulla città”...

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