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Pedopornografia web,
indagato un 39enne

Seguendo le impronte della vergogna sul web, la Procura di Venezia è arrivata fino a Cosenza con un blitz a casa d’un insospettabile. Un perito informatico trentanovenne finito sott’inchiesta con l’accusa d’aver scambiato e diffuso materiale pedopornografico nella rete internet. Ieri, i carabinieri hanno perquisito l’abitazione dell’uomo sequestrando un i-Pad, due pennette Usb, un pc, diversi dvd, cd musicali e testuali e alcune videocassette. Materiale d’interesse investigativo che è stato preso in consegna dai detective dell’Arma e che nelle prossime ore verrà messo a disposizione del pm veneto Alessia Tavernesi (faceva parte del pool perugino che indagò sulla “cricca” del G8). Il magistrato conduce da tempo la crociata contro gli “orchi”. I supporti finiti sotto chiave verranno sottoposti ad accertamenti e per provare le ipotesi d’accusa che la Procura di Venezia contesta all’indagato e, forse, non solo a lui. I carabinieri hanno notificato al trentanovenne perito informatico cosentino, contestualmente al decreto di perquisizione, anche l’avviso di garanzia. L’inchiesta è coperta dal più assoluto riserbo. Gl’investigatori dell’Arma seguono le tracce di gente insospettabile che, attraverso il computer di casa (o dell’ufficio, ndr), ha costruito un mondo irrimediabilmente malato, contaminato dalle perversioni. Una galassia immonda popolata da impiegati modello, professori irreprensibili, professionisti dalle indubbie capacità, studenti dal profitto straordinario. Persone apparentemente senza macchia ed accomunate dalla turpe passione verso i più piccini. Oggi gli “orchi” che frequentano le chat e ristagnano nelle zone d’ombra della rete hanno un’età che s’aggira intorno ai trenta anni. Al massimo quaranta. Misteriosa è la forza che li spinge verso la perversione. Da mesi, le “divise nere” starebbero passando al setaccio alcune delle chat e dei portali più frequentati dai cybernauti italiani amanti degli scambi di materiale “sospetto”, di messaggi in codice, di semplici indizi. E contatto dopo contatto avrebbero tracciato una “black list” dei “nickname” (che sono i nominativi con i quali il navigatore si identifica nella rete) finiti nell’elenco dei sospetti. All’individuazione del trentanovenne informatico cosentino, i carabinieri sarebbero giunti seguendo le indelebili tracce telematiche nell’arcipelago virtuale. Cella dopo cella avrebbero scoperto l’Ip (è l’identificativo del pc) del computer dal quale sarebbero partiti i messaggi monitorati. Messaggi con allegati fotografici e, forse, anche con video dal contenuto raccapricciante che avrebbero viaggiato attraverso Whatsapp e altre applicazioni. Nessun dubbio per gl’inquirenti. Ma il diretto interessato si protesta innocente e, nelle prossime ore, probabilmente, attraverso i suoi legali di fiducia chiederà un confronto col magistrato che lo ha indagato per potersi discolpare. Ma il pm Tavernesi ritiene d’avere in mano le prove dei supposti scambi di materiale vietato.

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