La storia d’una giovane donna morta di tumore a 43 anni è contenuta nelle carte d’un processo che verrà celebrato il 27 settembre davanti al Tribunale di Cosenza. A giudizio è finita la ginecologa d’una casa di cura, Francesca Paola Gallo. Così ha stabilito un gip, dopo che un altro gip, Enrico Di Dedda, aveva ordinato al pm l’i m p u t azione coatta nei confronti del chirurgo indagato. L’inchiesta giudiziaria, a luglio dello scorso anno, era stata definita con una richiesta d’archiviazione vergata all’esito della consulenza tecnica. Il parere dell’esperto aveva escluso responsabilità dirette del medico. L’indagine, che aveva preso spunto da un esposto carico di dolore, sembrava già finita. Ma il gip Di Dedda, dopo aver letto quelle sette pagine, vergate con inchiostro impastato alle lacrime dal marito e dalla figlia di Luisa Ritacco, e ascoltato le conclusioni dell’altro perito, il professor Pietro Arpaia, nominato dall’avvocato Antonio Iaconetti, ha deciso di mandare a giudizio il chirurgo. La storia amara della giovane donna, che in diciotto mesi appena passò da una vita felice di madre e di mamma alla morte, cominciò il 20 luglio del 2010. Quel giorno Luisa si sottopose a un pap test nel Consultorio familiare dell’Asp di Cosenza. Dopo una serie di accertamenti, alcuni dei quali effettuati anche nel reparto di anatomia patologica dell’“A nnunziata”, la paziente si affidò alla ginecologa Gallo, un medico con ottime credenziali. E l’imputata cominciò a investigare ulteriormente l’origine della patologia affiorata nel corso dell’iniziale accertamento anche attraverso analisi di laboratorio. Un prelievo di materiale endometriale venne vagliato nel Centro diagnostico di Citoistopatologia di Cosenza segnalava la presenza di «frammenti di endometrio in fase secretiva». Esiti investigativi che furono vagliati da una struttura specialistica di Monza. Una verifica dalla quale emerse la conferma più drammatica: la formazione cancerogena. Il 20 luglio del 2011 Luisa Ritacco entrò in clinica per sottoporsi a un intervento chirurgico di «laparoisterectomia totale con anessiectomia bilaterale per neoplasia intraepiteliale ghiandolare di terzo grado ». L’operazione fu eseguita dalla dottoressa Gallo il 22 luglio e la donna venne dimessa quattro giorni dopo «senza alcuna prescrizione», come hanno sostenuto i familiari e il loro esperto. Tuttavia, alla fine di settembre, Luisa fu costretta a sottoporsi a un nuovo intervento chirugico al “Gemelli” di Roma imposto per procedere alla linfoadectonia pelvica sistemica che avrebbe dovuto essere parte indispensabile dell’operazione alla quale la donna s’era sottoposta due mesi prima, a Cosenza e che, invece, non sarebbe stata eseguita. Secondo il gip Di Dedda, il presunto intervento incompleto avrebbe determinato la degenerazione della patologia: «A fronte di tali mancanze, e alla luce delle odierne conoscenze mediche è ragionevole sostenere che una condotta tempestiva, diligente e adeguata della Gallo, quale ginecologa di fiducia che aveva in carico la paziente dall’estate del 2010, avrebbe innescato un decorso diverso della malattia che ha condotto la Ritacco alla morte in appena 7 mesi dalla notizia certa del cancro all’utero». Le condizioni di Luisa Ritacco sarebbero andate rapidamente peggiorando. E dopo atroci sofferenze, la donna spirò l’11 gennaio dello scorso anno in una stanzetta dell’h o s p ice di Cassano. La rabbia del marito e della figlia è stata condensata nella denuncia con la quale reclamano verità e giustizia. Una iniziativa che non considerano una vendetta nei confronti del sanitario ma semplicemente un dovere nei confronti della congiunta che non c’è più.
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